La “dolce nostalgia” dei Bagni di Craveggia
Una vecchia guida turistica descriveva i Bagni di Craveggia, in Valle Onsernone, come un "luogo dolcemente nostalgico". Era forse una definizione legata al turismo dell’epoca, caratterizzato da una villeggiatura salutista che univa la vita di montagna alle cure termali. Oggi, il panorama del luogo è molto cambiato.
Quel turismo è ormai scomparso con la frana che negli anni ’50 distrusse irreparabilmente un hotel che era sorto nel 1823 e che già nel 1881 era sopravvissuto a stento a un incendio. Un episodio drammatico, ma incruento, poiché la frana avvenne quando la struttura era chiusa. Da allora la vocazione del luogo è mutata, ma è rimasto il fascino, in parte dovuto alla bellezza paesaggistica e in parte alla sua storia.
La località è nota sin dal medioevo per la presenza di una fonte di acqua calda (definita nei vecchi documenti come “flumen aquae calidae”), capace, così si dice, di essere un toccasana per diverse malattie, soprattutto quelle della pelle.
Le prime infrastrutture (tra cui le vasche per i bagni) risalgono agli inizi del Seicento. Agli inizi dell’800, in epoca napoleonica, l’area, sul versante alpino svizzero, venne annessa al Regno d’Italia, rappresentando da allora quasi un’enclave: un territorio che batte bandiera tricolore, ma che è di fatto un’appendice del Ticino.
Le strutture esistenti vennero ampliate con la realizzazione dell’albergo, reso più accessibile dalla costruzione di una strada carrozzabile nel 1933 che sembrava rilanciare le potenzialità turistiche del posto. Ma la seconda guerra mondiale e le valanghe cambiarono il destino.
La guerra qui conobbe uno scontro noto anche come la “Battaglia della frontiera”, uno dei pochi episodi in cui il conflitto mondiale rischiò di violare la neutralità della Svizzera.
Il 18 ottobre 1944 le guardie di frontiera accolsero nel proprio territorio, rispettando le regole della neutralità, alcuni resistenti italiani sopravvissuti alla disfatta della Repubblica partigiana dell’Ossola. I partigiani erano in rotta, inseguiti e presi di mira da incessanti colpi di mitra delle milizie fasciste scortate dalle SS.
Le truppe fedeli alla Repubblica Sociale Italiana non avevano intenzione di prendere prigionieri e dopo aver ferito a morte due partigiani, minacciarono di varcare il confine per compiere vendetta. Le guardie federali svizzere non cedettero e diedero ospitalità ai resistenti, evitando un massacro.
Questa divenne poi anche terra di contrabbando, un commercio illegale ma assai spesso tollerato che rappresentava un legame tra le diverse comunità portando riso nei cantoni svizzeri e sigarette e altri beni di consumo in terra italiana.
Negli ultimi anni un restauro conservativo, grazie a un finanziamento europeo, ha riportato parzialmente in vita i bagni, recuperando l’accessibilità alla fonte, costruendo nuove vasche termali e restaurandone alcune antiche. Oggi il luogo è meta di escursionisti e il passato è ricordato da una lapide che commemora i caduti dell’ottobre del 1944 e da una caserma abbandonata della Guardia di finanza che si spera di recuperare per finalità turistiche.
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