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Conferenza su Ucraina: Zelensky, “Passo per pace giusta”

Keystone-SDA

(Keystone-ATS) “Diamo una chance alla diplomazia”. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, a dispetto del look militare d’ordinanza da comandante in capo, al Bürgenstock (NW) veste i panni dell’uomo di pace.

Nel prestigioso albergo sono sfilate le 101 delegazioni che hanno accettato l’invito di Berna a partecipare ad una sorta di missione impossibile: immaginare come far tacere i cannoni in Ucraina attraverso i negoziati. Ma senza la Russia.

Esercizio di stile, per alcuni. Eppure, mai come al Bürgenstock, il mezzo è il messaggio: da una parte il presidente russo Vladimir Putin che detta anatemi, spacciando il deserto per pace, dall’altra il presidente ucraino, che chiede al mondo di “contribuire” alla soluzione.

“America Latina, Medio Oriente e Asia, Africa, Europa, Pacifico, Australia, Nord America: tutti presenti. Insieme stiamo facendo il primo passo verso una pace giusta, basata sulla Carta delle Nazioni Unite e sui principi fondamentali del diritto internazionale”, ha messo in chiaro Zelensky.

In teoria sarebbe difficile essere in disaccordo, ma questi valori prevedono il rispetto della sovranità, dell’indipendenza e dell’integrità territoriale dell’Ucraina, che Putin di fatto vuole smembrare. “Tutto ciò non è negoziabile”, ha ribadito il capo di gabinetto del presidente ucraino, Andriy Yermak. Ma i lavori sono appena iniziati e l’obiettivo è quello di integrare la formula di pace ucraina – che debuttò al G20 di Bali, quando Russia e Cina andarono sotto al parlamentino del mondo, dovendo ingoiare un comunicato congiunto in cui si chiedeva la fine della guerra – con altri spunti.

“Stiamo valutando la possibilità, una volta che si arriverà ad un piano congiunto, di presentarlo ai rappresentanti della Russia e pensiamo che questo possa accadere al secondo vertice per la pace”, ha aggiunto Yermak. Perché, ed è chiaro a tutti, prima o poi Mosca dovrà essere coinvolta.

“Siamo consapevoli che un processo di pace senza la Russia è impensabile”: proprio così ha esordito la presidente della Confederazione Viola Amherd nel suo discorso di apertura della conferenza. Tutte le parti dovranno compiere sforzi, ha detto.

“Non saremo in grado oggi di decretare la pace per l’Ucraina, ma speriamo di dare inizio al processo. La carta dell’Onu forma la base del diritto, la Russia l’ha attaccata nel modo più brutale. Se vogliamo inspirare lo spirito di pace, Mosca deve essere a un certo punto coinvolta, tutti ne siamo consapevoli. Come comunità internazionale possiamo preparare il terreno per i negoziati fra le due parti in guerra”.

La prossima tappa potrebbe essere allora l’Arabia Saudita, dove s’ipotizza si possa tenere il nuovo summit. Ma questo appunto richiederebbe l’accettazione da parte della Russia dei principi fondamentali della Carta dell’Onu – compresa l’integrità territoriale dell’Ucraina – e quindi tutto “è ancora in alto mare”, fa sapere un alto funzionario europeo a conoscenza diretta del dossier.

Il Cremlino rema contro. “Non vogliamo comunicare nessun messaggio, vogliamo riunirci la prossima volta per un evento più sostanziale e costruttivo”, ha affermato il portavoce dello “zar” Dmitri Peskov. Ma chissà che l’appetito non venga negoziando.

“Non saremo in grado oggi di decretare la pace per l’Ucraina, ma speriamo di dare inizio al processo”, ha detto Amherd. “Come comunità internazionale possiamo preparare il terreno per i negoziati fra le due parti in guerra”.

Certo, l’antipasto non promette nulla di buono. “Se la proposta del presidente Putin è ‘siamo disposti a una trattativa di pace se Kiev riconosce l’invasione dell’Ucraina e cede le parti occupate’ non mi sembra particolarmente efficace come proposta, mi sembra una mossa più propagandistica che reale”, ha tagliato corto la premier italiana Giorgia Meloni chiudendo il vertice del Gruppo dei sette (G7, Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti), riunito fino ad oggi a Bari (Puglia).

Berna ha elaborato un percorso a tappe. Il programma del Vertice prevede sia sessioni “plenarie” che discussioni sui tre temi che si prestano “a creare fiducia”, ossia “la sicurezza nucleare, la sicurezza alimentare e la dimensione umanitaria”, compresa la “liberazione dei prigionieri”. “Si tratta di argomenti d’interesse globale che riguardano direttamente un gran numero di Stati e che sono stati affrontati nei vari piani di pace proposti”, sottolineano gli organizzatori.

Di nuovo, l’obiettivo è di creare consenso, avvicinare le posizioni. Che sono a volte molto diverse rispetto al coro del “caminetto” occidentale. Il ministro degli esteri dell’Arabia Saudita ammonisce ad esempio che saranno necessari “difficili compromessi” se si vuole davvero arrivare alla pace mentre il presidente del Kenya afferma che l’aggressione di Mosca è certamente “illegale” ma è illegale anche “l’unilaterale appropriazione degli asset sovrani russi” (ed egualmente tremendi sono i conflitti nel Medio Oriente, nel Sahel e nel Corno d’Africa).

Insomma, aprire il microfono al mondo – come aveva promesso Zelensky – ha le sue controindicazioni. Le delegazioni sono al lavoro per arrivare ad una dichiarazione congiunta, che appare al momento “stabile” benché non sia ancora certa la firma da parte di tutti.

Oggi pomeriggio il capo del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) Ignazio Cassis ha manifestato ottimismo affermando di sperare in un “passo nella giusta direzione”.

“Putin dovrebbe passare dal linguaggio degli ultimatum a quello della maggioranza mondiale, che vuole una pace giusta”, è il monito di Zelensky ai leader. Più che altro, lo spera.

Sono possibili diversi scenari, tra cui una dichiarazione finale senza consenso, che darebbe a ogni Stato la possibilità di specificare se la approva o no.

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