I nostri dati? Sono l’oro del futuro
A Rüschlikon, sul lago di Zurigo, sorge il primo centro di ricerca di IBM in Europa. Lo dirige un ricercatore italiano, col quale abbiamo parlato di intelligenza artificiale, delle questioni etiche che questa tecnologia pone, e dei dati che ognuno di noi genera ogni giorno: "l'oro del futuro".
L’IBM Research di Zurigo-RüschlikonCollegamento esterno fu fondato nel 1956. È il quartier generale della ricerca, nel Vecchio Continente, del colosso informatico statunitense.
Alessandro Curioni -laureato in chimica alla Normale di Pisa e specialista riconosciuto a livello internazionaleCollegamento esterno nelle scienze computazionali– vi approdò per il suo dottorato nel 1993 e fu assunto nel 1998. Lo dirige dal 2015. Della sua personale scelta di installarsi a Zurigo -e di quella di IBM, che scartò Regno Unito e Paesi Bassi- parla nel video [sotto].
Invitato a Lugano dalla Fondazione MöbiusCollegamento esterno e da Coscienza SvizzeraCollegamento esterno, per un nuovo ciclo di conferenze intitolato “Il passato digitale ultimo e scorso”, il direttore ha ripercorso 107 anni di storia dell’azienda americana.
Dagli strumenti ai servizi
Dopo il lancio del personal computerCollegamento esterno PC IBM, la multinazionale fu vittima del suo successo. Per consentire lo sviluppo del prodotto a prezzi ragionevoli, lasciò che altre aziende vi partecipassero, come fornitori di componenti o sviluppatori di programmi.
Fu così che la International Business Machines, che fin dai tempi dei sistemi a schede perforate realizzava quasi tutto il fatturato con l’hardware e meno di un decimo con software/servizi, dovette capovolgere le proporzioni.
Il mondo intero se ne accorse nel 1997, quando il computer Deep Blue batté a scacchi il campione del mondo Garri Kasparov. IBM era un marchio ormai quasi scomparso dalle scrivanie, ma si presentò come capofila di una nuova disciplina destinata a cambiare il mondo: l’intelligenza artificiale.
Un settore strettamente legato alle scienze computazionali, che usano le simulazioni al computer per studiare i fenomeni chimici o fisici. Entrambi richiedono grandi risorse di calcolo e contemplano un’enorme quantità di dati. L’IA, inoltre, aiuta a capire o mettere a frutto i risultati delle simulazioni.
Dati, l’oro del futuro
Alessandro Curioni sprona gli utenti ad acquisire “consapevolezza del valore del dato”. Cosa intende?
“Intendo che sono la moneta del futuro, l’oro del futuro, hanno un valore enorme. Al giorno d’oggi, penso che se parliamo con persone comuni non c’è questa consapevolezza che qualsiasi cosa che facciamo creiamo una grossa quantità di dati che ci appartengono e che noi doniamo senza conoscerne il valore intrinseco”.
“Noi come compagnia ci siamo detti, è la nostra filosofia, che non solo i dati, ma anche l’utilizzo e il valore creato dal loro utilizzo devono appartenere alla persona”.
“Migliorare la vita delle persone”
L’impegno a rispettare la proprietà dei dati è parte di una strategia più ampia. IBM, nello sviluppare le intelligenze artificiali, rinuncia al diffuso “alibi” secondo cui la tecnologia non è né buona né cattiva, e chi la sviluppa non è responsabile dell’uso che se ne fa.
“Ci siamo dati dei principi chiari”, sottolinea Alessandro Curioni. “Utilizziamo l’intelligenza artificiale non per sostituire l’uomo, ma per aiutarlo. Non per sostituire le nostre capacità, ma per incrementarle. Il secondo principio è la trasparenza su tutte le tecnologie che sviluppiamo intorno all’intelligenza artificiale, compreso l’uso dei dati. “.
“La terza cosa che facciamo è essere consapevoli che, come con qualsiasi tecnologia, ci sarà un impatto sulla forza lavoro. Noi ci impegniamo a lavorare con le istituzioni e il tessuto sociale per modificare la forza lavoro in modo adeguato, massimizzando l’impatto di queste tecnologie e minimizzandone i danni”.
Watson e i tumori
Davvero? Sottoponiamo al nostro interlocutore il caso di Watson, intelligenza artificiale nota per aver battuto due supercampioni in una puntata speciale del quizCollegamento esterno ‘Jeopardy’, e aver dunque dimostrato che un computer può -oltre ad assimilare un’enormità di nozioni- comprendere le sottigliezze del linguaggio degli umani.
Watson, negli anni successivi a New York, ha ricevuto un addestramento medico. Si è studiato migliaia tra libri, articoli di riviste specializzate, risultati di sperimentazioni cliniche e foglietti illustrativi di farmaci approvati per la cura del cancro. Ha imparato ad analizzare le radiografie, i risultati delle TAC e gli esami del sangue.
“Ma non abbiamo aiutato gli oncologi a diagnosticare i tumori”, puntualizza Curioni, “li abbiamo aiutati -una volta che la diagnosi è fatta- a prescrivere la terapia migliore per quel tipo di tumore, che è una cosa diversa. Quindi uno strumento, un complemento, che aiuta il medico a prendere una decisione terapeutica ma non lo sostituisce”.
Intelligenza artificiale generale
Dopo tante intelligenze artificiali specializzate (auto a guida autonoma, assistenti virtuali su Internet) talvolta più veloci e accurate degli umani (riconoscimento di immagini), non è escluso che gli scienziati riescano a metterne a punto una “generale”.
I computer potrebbero insomma sviluppare il “senso comune”, fatto di tante cose che noi umani non comunichiamo verbalmente, perché tutti le sanno fin da quando erano bambini (ad esempio che se molli la presa su un oggetto, questo cade a terra).
Alessandro Curioni ritiene che, semmai si arriverà a un’intelligenza artificiale generale, ci vorranno decenni. Del resto, “la flessibilità del cervello umano si è evoluta nel corso di centinaia di migliaia di anni”. I veri problemi sono altri, e li sottovalutiamo.
“Sono problemi in cui stiamo mettendo un sacco di ricerca e che dobbiamo risolvere per assicurare un uso adeguato e sostenibile dell’IA in futuro. Per esempio”, spiega, “oggi sviluppiamo i modelli di intelligenza artificiale sui dati che vengono dal passato, e questi dati sono pieni di pregiudizi e distorsioni.”
“Se io voglio creare un sistema che mi aiuti a fare la selezione del personale e lo baso sui dati del passato”, osserva, “non mi dirà mai che una donna può diventare un CEO di un’azienda, perché il numero di CEO è sempre stato dominato dagli uomini”.
“Quindi eliminare questi pregiudizi nei modelli di IA è molto più importante, avrà un impatto molto maggiore di pensare cosa potrebbe succedere fra 50, 60 100 anni quando eventualmente avremo una Intelligenza artificiale generale”.
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