Non si ferma la spirale di violenza in Turchia. A una settimana dall'attacco che ha provocato 44 vittime a Istanbul, in maggioranza poliziotti, le forze di sicurezza tornano nel mirino.
Un’autobomba è stata fatta detonare alle 8.45 di sabato mattina da un attentatore kamikaze al passaggio di un bus che trasportava diversi soldati in borghese a Kayseri, nell’Anatolia centrale, davanti all’ingresso dell’università locale Erciyes. Nell’esplosione hanno perso la vita almeno 14 soldati, tutti ventenni, mentre 56 persone sono rimaste ferite. Almeno 12 sono ricoverate in terapia intensiva.
Arresti
Intanto, la polizia ha già identificato il kamikaze, la cui identità non è stata resa nota, e arrestato 7 persone, mentre altre 5 risultano ricercate.
Come nel doppio attacco di sabato scorso davanti allo stadio del Besiktas a Istanbul, rivendicato poi dagli estremisti curdi del Tak, le autorità hanno subito puntato il dito contro il Pkk. Anche perché nel mirino è finita la Brigata commando di Kayseri, impegnata da tempo nelle operazioni antiterrorismo nel sud-est proprio contro i ribelli curdi.
A poche ore dalle esplosioni, ad accusare i curdi era stato direttamente il presidente Recep Tayyip Erdogan. “La Turchia è sotto l’attacco congiunto di organizzazioni terroristiche. In particolare, l’organizzazione terroristica separatista (Pkk, ndr) sta usando tutti suoi mezzi”, ha scritto in un messaggio alla nazione.
Annus horribilis
Dalla ripresa delle ostilità nelle regioni curde, nell’estate 2015, si calcolano oltre 400 morti e 2mila feriti in una ventina di attentati in tutto il Paese, attribuiti a gruppi curdi o all’Isis. Senza contare le 248 vittime riconosciute della notte del fallito golpe o le centinaia dello stesso conflitto nel sud-est.
Il partito filo-curdo Hdp, travolto da oltre 500 arresti per presunti legami con il Pkk dopo l’attacco di Istanbul, ha nuovamente condannato l’uccisione di uomini delle forze di sicurezza. Ma nonostante la presa di distanza, un gruppo di fanatici nazionalisti ha assaltato la sua sede a Kayseri.
Nel frattempo, l’esercito continua anche a perdere pezzi per mano della magistratura. Un tribunale di Istanbul ha emesso oggi mandati d’arresto per altri 530 soldati di alto rango, accusati di legami con la presunta rete golpista di Gulen. Tra le oltre 40mila persone arrestate dal fallito putsch del 15 luglio, c’erano già almeno 6.341 militari, tra cui anche 168 generali e ammiragli.
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