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Aumento della spesa per l’esercito: anche gli Stati dicono “sì”

due soldati in tenuta mimetica fotografati di spalle
Entro il 2030 il budget per l'Esercito potrà diventare di 7 miliardi di franchi © Keystone / Laurent Gillieron

Anche la maggioranza del Consiglio degli Stati, dopo il Nazionale in maggio, crede che alla luce della situazione di minaccia attuale e della guerra in corso in Ucraina, l'esercito elvetico sia di fronte a un numero crescente di sfide che rendono necessario un aumento della spesa.

Per 32 voti a 11, la Camera dei cantoniCollegamento esterno (Camera alta) ha accolto una mozione che chiede un aumento progressivo delle spese per l’esercito a partire dal 2023, in modo da raggiungere almeno l’1% del PIL al più tardi nel 2030, corrispondente a un budget per la truppa di circa 7 miliardi di franchi. Mozione già accolta a maggio dalla maggioranza del Consiglio NazionaleCollegamento esterno (Camera bassa).

Per anni la spesa è stata costantemente ridotta, ha affermato il senatore bernese Werner Salzmann (UDC, destra conservatrice) “e ciò ha condotto a un ritardo nella modernizzazione dell’esercito e a un equipaggiamento non sufficiente delle formazioni. Tali lacune vanno colmate al più presto a causa anche del conflitto in Ucraina, che ci dimostra come le guerre convenzionali in Europa non siano affatto scomparse come credeva qualcuno”. 

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Per Salzmann, inoltre, la richiesta di mettere a disposizione più mezzi finanziari per l’esercito rappresenta un aumento modesto se paragonato ai Paesi della Nato che si orientano al 2% del PIL. Il vodese Olivier Français (PLR, liberal-radicali) ha sostenuto – e con lui anche altri oratori – che la mozione prevede degli obiettivi affinché il Consiglio federale possa pianificare al meglio le spese future. Non si tratta insomma di dare al Governo carta bianca, ossia di approvare crediti vincolanti per l’acquisto di un sistema d’arma piuttosto che di un altro.

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Non si può fare affidamento unicamente su altri Paesi

“Una futura collaborazione con i nostri vicini in caso di pericolo, in particolare un’estensione del conflitto in corso a tutta l’Europa, richiede che anche la Svizzera faccia la sua parte”, ha poi aggiunto Français, sostenendo che per la sua sicurezza la Confederazione non può semplicemente fare affidamento sull’aiuto degli altri Stati.

Secondo i contrari, con questa mozione vi è il pericolo che all’esercito vengano concessi mezzi senza sapere come impiegarli: il rischio di sprechi, insomma, è grande, come è grande il pericolo che il Paese faccia un grosso passo indietro dotandosi di mezzi adatti a una guerra del secolo scorso (nei mesi scorsi vi è chi ha chiesto di “riattivare” i carri armati Leopard ora all’arsenale, n.d.r).

Il rischio di sprechi, di una decisione di politica finanziaria insensata, è reale secondo Mathias Zopfi (Verdi), tanto che la stessa Neue Zürcher Zeitung – storico quotidiano “borghese” da sempre vicino all’esercito – ha criticato aspramente la mozione.

L’1% del PI “è comunque troppo poco”

Nel suo intervento, Daniel Jositsch (PS, socialisti) ha fatto presente che se la Svizzera volesse veramente far fronte a una minaccia esterna seria, dovrebbe spendere molto di più per la sicurezza, come fa per esempio Israele, Paese circondato da Stati ostili, che dedica il 6% del suo PIL alla propria difesa. Insomma, anche aumentando fino all’1% del PIL, la capacità di difesa della Confederazione non sarebbe data. “Avremmo bisogno di 30 miliardi di franchi: una somma che nessuno sarebbe disposto a concedere”.

Secondo Jositsch, prima di decidere se aumentare o meno i mezzi per l’esercito, andrebbe fatta un’analisi seria che contempli anche la collaborazione con gli Stati vicini o con la Nato, qualora il conflitto in corso dovesse estendersi all’intero continente. “In caso di invasione da parte di uno Stato estero, la neutralità non ci impedirebbe di aderire a un’alleanza”, ha precisato. “Tra l’altro, molto probabilmente una cooperazione con la Nato ci farebbe risparmiare”.

“Non fare come gli struzzi”

Anche il socialista Carlo Sommaruga ha criticato la mozione, invitando il plenum a “non fare come gli struzzi, ossia ficcare la testa sotto la sabbia”, e riflettere sulla strategia futura prima di prendere decisioni affrettate. Sommaruga ha ricordato che il denaro promesso all’esercito mancherà in altri settori, come la sanità. Il rischio, quindi, è quello di “uno sfilacciamento del tessuto sociale”.

Prendendo la parola verso la fine del dibattito, la ministra delle difesa Viola Amherd ha voluto in parte rassicurare i presenti, la sinistra in particolare, precisando che l’aumento progressivo dei mezzi destinati all’esercito servirà in particolare per colmare le lacune odierne, con materiale il cui acquisto è già programmato e approvato dal Parlamento. La consigliera federale ha poi sottolineato che ogni anno le Camere potranno approvare o meno le decisioni di spesa del Governo: nessun automatismo insomma.

Il limite di spesa scelto (l’1% del PIL entro il 2030), ha aggiunto è comunque inferiore alle spese sopportate dai Paesi vicini alla Confederazione. “Dal 1990, inoltre, il Dipartimento della difesa è quello che ha subìto la cura dimagrante maggiore. Ora è giunto il momento di recuperare, anche alla luce di quanto sta accadendo in Ucraina”.

A proposito di un’eventuale cooperazione internazionale, Amherd ha puntualizzato che tale possibilità non si può escludere a priori – neutralità permettendo – ma che anche la Svizzera deve dotarsi di un esercito moderno e adatto alle minacce attuali per essere credibile. “Sperare, come pensano alcuni, che i Paesi esteri ci aiuteranno in caso effettivo non è accettabile. Non si può sempre approfittare degli altri standosene con le braccia conserte”, ha concluso la consigliera federale.

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