“Berlusconi unico candidato forte del centrodestra”
Si intensificano in questi giorni le trattative in vista dell'elezione del nuovo capo dello Stato italiano che si profila assai incerta e del tutto inedita. Intervista a Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica e commentatore per varie testate.
Sul voto in calendario dal 24 gennaio a Montecitorio tenderanno a riflettersi inevitabilmente le turbolenze di questa travagliata legislatura che ha visto succedersi tre governi, sostenuti sempre da coalizioni e formule diverse.
L’esodo di un numero non trascurabile di parlamentari dai partiti che li avevano candidati – in particolare dal M5S – e scissioni varie hanno frammentato il quadro politico e ingrossato il Gruppo misto, che potrebbe risultare decisivo ai fini della designazione del nuovo inquilino del Quirinale.
Non essendoci poi uno schieramento predominante in parlamento – che tra l’altro è la ragione per cui è stata chiamata a Palazzo Chigi una figura di garanzia, estranea alle formazioni politiche come Mario Draghi – non sarà di per sé sufficiente attendere la quarta votazione, quando il quorum scenderà dai due terzi alla maggioranza assoluta degli aventi diritto (505 dei 1’009 elettori appartenenti alle due Camere o delegati dalle Regioni), per imporre una soluzione di parte.
L’articolo 84 della Costituzione italianaCollegamento esterno recita che “ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici” può essere eletto capo dello Stato. Ad eleggerlo è il Parlamento in seduta comune, composto dai membri delle due Camere a cui si aggiungono i delegati indicati dai consigli regionali (tre per ogni Regione, ad eccezione della Valle d’Aosta che ne invia 1).
L’elezione del Presidente della Repubblica, precisa l’articolo 83, ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta. Una volta eletto il capo dello Stato resta in carica per sette anni.
Lo scorso 3 gennaio il presidente della Camera, Roberto Fico, sentita la presidente del Senato, Maria Elisabetta Casellati, ha convocato il Parlamento in seduta comune per lunedì 24 gennaio (alle ore 15) per i primo turno di votazione.
Tra i suoi principali poteri figurano la nomina del presidente del Consiglio e, su proposta di questo, dei ministri, lo scioglimento delle Camere e la promulgazione delle leggi. Inoltre presiede le Forze armate e il Consiglio superiore della magistratura (CSM).
Al momento sono solo due i personaggi realmente in lizza per la successione di Sergio Mattarella. Silvio Berlusconi che si è autocandidato per il centrodestra, non senza forzare la mano degli alleati, e lo stesso Mario Draghi, che pur non esprimendosi esplicitamente in proposito, non ha mai escluso categoricamente questa eventualità. Di sicuro l’ex governatore della Bce è una figura in grado di mettere d’accordo quasi tutti ma che comporta interrogativi sul prosieguo della legislatura e sulla formazione dei futuri governi.
Le segreterie sono comunque febbrilmente impegnate nell’elaborare piani B e a individuare altri nomi di papabili che al momento restano nascosti per evitare di bruciarli in partenza.
Di tutto questo ne abbiamo parlato con Gianfranco Pasquino, professore emerito di Scienza politica all’Università di Bologna, che oltre ad aver insegnato in varie accademie in Italia e Stati Uniti, collabora da tempo con varie testate in veste di commentatore ed editorialista.
tvsvizzera.it: Come si presenta e quali sono le peculiarità – o se si vuole, le anomalie – di questa elezione del capo dello Stato che pare del tutto inedita nella storia repubblicana.
Gianfranco Pasquino: L’anomalia fondamentale è che per la prima volta è possibile che un capo del governo in carica venga eletto presidente della Repubblica. E questa anomalia dipende dal fatto che ci siamo affidati ad un non politico che non ha una carriera politica alle spalle (che peraltro ha imparato benissimo perché sta guidando il governo con grandi capacità).
“Per la prima volta è possibile che un capo del governo in carica venga eletto presidente della Repubblica”
E dimostra di essere la persona più autorevole che abbiamo in questo momento in Italia e in particolare sulla scena europea e internazionale, e quindi è un ottimo candidato. L’altra anomalia è che questa campagna presidenziale è cominciata ormai da ben quattro, cinque mesi. La campagna presidenziale è stata evidentemente caricata di un sacco di significati che vanno al di là del semplice rinnovo dell’alta carica istituzionale.
Anche alla luce di quello che ha appena detto, ci potrebbe essere una sorta di rivincita dei partiti, messi in un angolo da una personalità così forte? O meglio, è ipotizzabile che i partiti approfittino di quest’occasione per riprendersi un ruolo che hanno perso, affossando quella che al momento viene considerata comunque come la candidatura più accreditata?
È uno scenario possibile, che sarebbe peraltro ipotizzabile soltanto se i partiti avessero avanzato, come dire, proposte affascinanti di candidati di grande rilievo capaci di attrarre consensi. Fino a questo momento io questi personaggi di grande rilievo candidati dei partiti non li ho visti. Ho visto una autocandidatura, quella di Berlusconi che certamente è un personaggio di grande rilievo e, devo aggiungere, anche di grande pericolosità.
Certo, i partiti non sono così convinti di dover dare tanto potere a Draghi perché soffrono la sua leadership e perché dimostra di essere più bravo di loro. Però alla fine questa potrebbe essere una soluzione, cioè mandarlo al Quirinale di modo che si liberi il posto di capo del governo.
C’è chi dice che nell’ipotesi opposta, vale a dire che se non verrà eletto Draghi, garante dell’attuale patto di governo, si andrà inevitabilmente a elezioni anticipate. Lei pensa che questo sia uno scenario possibile?
Non necessariamente, dipende da chi viene eletto Presidente della Repubblica. Però un Presidente della Repubblica appena eletto, che dica che questo governo non funziona e che quindi bisogna andare a elezioni anticipate, ritengo che sia un’ipotesi improbabile.
“I partiti non sono così convinti di dover dare tanto potere a Draghi perché soffrono la sua leadership e perché dimostra di essere più bravo di loro”
Occorrerebbe infatti dimostrare che effettivamente l’attuale esecutivo non stia lavorando bene, a meno che non siano i partiti – in particolare evidentemente la Lega e Forza Italia (soprattutto Forza Italia) – che dicano di voler andare ad elezioni anticipate. Ma a Forza Italia non conviene perché è mal messa dal punto di vista dei sondaggi. Alla Lega può convenire ma è un comunque rischio perché se si rivelasse più forte elettoralmente Giorgia Meloni, Matteo Salvini non potrebbe rivendicare la carica di capo del governo.
Guardando i numeri sembra che, dopo vari presidenti di centrosinistra, solo il centrodestra sia in grado di spuntarla (a condizione di raccogliere qualche consenso nel gruppo misto) con una candidatura di “area”. Se riuscisse nell’impresa non si creerebbe però un problema istituzionale e politico, nel senso che ci sarebbe un governo (Draghi) quasi di unità nazionale (con solo FdI all’opposizione) e un capo dello Stato espressione di una maggioranza?
Dunque, prima di tutto il centrodestra potrebbe vincere ma soltanto con Berlusconi. Perché Berlusconi è in grado di convincere – lo dico con un eufemismo – una parte dei 60-70 parlamentari di cui ha bisogno. Convincerli naturalmente significa promettere loro la ricandidatura o altri vantaggi: non tanto denaro ma posti o opportunità analoghe. In questo senso Berlusconi può essere, come sappiamo, molto generoso. E quindi se Berlusconi vince a quel punto ha vinto il centrodestra ma non vedo un altro candidato conservatore in grado di convincere molti elettori in aggiunta ai 450 del centrodestra, che peraltro secondo me non sarebbero compatti.
Bisognerà quindi andare probabilmente ad un accordo con il Pd, perché il Pd offre più garanzie da questo punto di vista: se si giungerà a un accordo con il Pd i parlamentari democratici voteranno quell’intesa, mentre i cinque stelle sono molto meno coesi al loro interno. In questo caso si aprirebbe un discorso intorno a una candidatura che sia non sgradita al Pd e che sia sufficientemente gradita al centrodestra. Ma non è facile trovarla.
Lei ritiene che in questo scenario Renzi, che ha scelto a suo tempo le liste dei candidati parlamentari del Pd e ha ora un suo gruppo, potrebbe fungere da ago della bilancia, come indicato da molti diversi osservatori in questi giorni?
Può anche fungere da ago della bilancia però poi occorre guardare i numeri: alla fine Renzi ha 42 parlamentari, che non sono tanti e non è affatto detto che siano compatti. Dipende anche in questo caso dal nome che emergerà. Mentre i non iscritti, per così dire, quelli che sono venuti fuori dai ranghi del centrodestra e dal Movimento 5 Stelle sono ormai al di sopra dei 70 e quindi è lì che bisogna andare a pescare: Renzi con i 42 voti può anche non risultare decisivo. Da solo non basta, lo dirò così…
“Lo spazio che si è guadagnato nel tempo il presidente della Repubblica non è altro che quello lasciato libero dai partiti in crisi”
I primi presidenti della Repubblica si sono limitati a svolgere un ruolo notarile. Negli ultimi 20-30 anni si sono invece opposti alla nomina di ministri e hanno condizionato la durata della legislatura promuovendo la formazione di governi denominati in vario modo (presidenziali, istituzionali), come quelli retti da Monti o lo stesso Draghi. Stiamo forse scivolando verso una sorta di “presidenzialismo” di fatto?
Sicuramente nei decenni è cambiato il ruolo del presidente della Repubblica ma non è cambiato contro la Costituzione o fuori della Costituzione. Quello che il presidente della Repubblica fa e ha fatto a partire dal ’94 ad oggi (volendo dal ’92, quando fu eletto Scalfaro) dipende dalla circostanza che i partiti si sono fortemente indeboliti.
Finché i partiti erano forti potevano controllare il presidente della Repubblica e il presidente della Repubblica non aveva necessità di intervenire. I partiti arrivavano al Quirinale dicendo che il loro candidato a capo del governo era quello e il presidente della Repubblica non faceva altro che ratificare la proposta.
Riguardo poi ai ministri respinti dal capo dello Stato è vero, ma l’aveva già fatto anche Pertini che bloccò la nomina di un personaggio che riteneva inadeguato (Clelio Darida nel 1979 nell’esecutivo presieduto da Francesco Cossiga, ndr). Certo, Mattarella lo ha fatto in maniera palese, e direi plateale, respingendo Paolo Savona poiché, come aveva detto, non voleva un ministro antieuropeista e aveva ragione.
Lo spazio che si è guadagnato nel tempo il presidente della Repubblica insomma non è altro che quello lasciato libero dai partiti in crisi e in questo contesto anche il presidente che sarà eletto nelle prossime settimane avrà un notevole potere.
Però non siamo di fronte a un presidenzialismo di fatto, è semmai quello che io chiamo la flessibilità delle democrazie parlamentariCollegamento esterno, che sono in grado di essere molto partitiche o meno partitiche, vale a dire più istituzionali. Se i partiti perdono potere lo acquisiscono le istituzioni, in questo caso il presidente ma anche il Parlamento. Se i parlamentari fossero capaci e competenti avrebbero anche loro una grande fetta di potere.
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