Cambiare o morire, il dilemma della stampa italiana all’estero
Il Corriere degli italiani, diventato oggi il Corriere dell'italianità, spegne quest'anno 60 candeline. Come gran parte della stampa italiana all'estero, la storica testata cerca di reinventarsi per continuare ad esistere.
Corre l’anno 1962. In luglio il satellite per le telecomunicazioni Telstar è lanciato con successo in orbita e per la prima volta nella storia delle immagini possono essere trasmesse in diretta da un continente all’altro.
Per gli oltre mezzo milioni di italiani e italiane che all’inizio degli anni Sessanta vivono in Svizzera, ricevere informazioni nella loro lingua – e soprattutto informazioni sulla realtà che li riguarda – è però ancora una chimera. C’è la radio, spesso un po’ gracchiante. E dal 1964 la Radiotelevisione della Svizzera italiana diffonde il sabato pomeriggio sul piccolo schermo una trasmissione –Un’ora per voi –destinata ai lavoratori e alle lavoratrici italiane in Svizzera. Per il resto poco o nulla.
Un’ora per voi alle acciaierie Monteforno di BodioCollegamento esterno.
Il boom della stampa italiana in Svizzera
Ma la natura, si sa, ha orrore del vuoto. Negli anni Sessanta e Settanta è quindi un fiorire di titoli destinati alla comunità italiana nella Confederazione.
Allo storico L’Avvenire dei Lavoratori, fondato nel lontano 1899 a Zurigo da esponenti socialisti dell’emigrazione italiana in Svizzera, si aggiungono in quegli anni una miriade di bollettini (quasi una trentina in tutto) pubblicati dalle Missioni cattoliche, da associazioni varie, o settimanali, quindicinali, mensili… a volte facenti riferimento a un’area politica precisa e/o che hanno un lettorato in una regione svizzera più o meno ampia.
Tra di essi vi è il Corriere degli italianiCollegamento esterno, settimanale di area cattolica fondato nel 1962 a Zurigo. Diventato nel corso degli anni uno dei titoli più importanti e più diffusi della stampa italiana in Svizzera, il Corriere è rimasto uno dei pochi testimoni di una realtà che sta scomparendo.
Basta un dato per rendersene conto. Nel 2003, il Dipartimento per l’informazione e l’editoria della Presidenza del Consiglio dei ministri aveva erogato fondiCollegamento esterno a sostegno di ben 124 testate pubblicate all’estero, 17 delle quali in Svizzera. Nel 2020 il loro numero si era ridotto a 35 (10 nella Confederazione).
Fino a un passato non così lontano, queste testate erano spesso “l’unico canale attraverso il quale la comunità italiana all’estero riceveva informazioni, anche di natura burocratica, legale, ecc.”, osserva Giangi Cretti, presidente della Federazione unitaria della stampa italiana all’estero (Fusie) e direttore della RivistaCollegamento esterno, il periodico della Camera di commercio italiana in Svizzera. L’avvento delle nuove tecnologie ha fatto venir meno questa funzione di servizio.
Inoltre, il mondo associativo di cui spesso questi giornali erano l’emanazione – e che si traduceva in un pubblico di riferimento preciso e quindi in abbonamenti e risorse finanziarie – “oggi, e ormai da qualche tempo, è in uno stato di oggettiva difficoltà”, prosegue Cretti.
Le nuove generazioni si informano e tessono legami in modo completamente diverso. Da sottolineare, ad esempio, il notevole successo sulle reti sociali di alcuni gruppi come quello degli Italiani a Zurigo, che su Facebook conta oltre 30’000 membri, o degli Italiani a Berna o Ginevra. Dall’annuncio di manifestazioni dedicate alla cultura italiana, alla ricerca di un posto di lavoro, passando alle domande sul permesso di residenza o a proposte di covetturaggio, questi gruppi assolvono perfettamente e in modo quasi immediato a determinate funzioni di servizio riservate fino a pochi anni fa alla stampa.
Reinventarsi per esistere
Insomma, per le testate italiane in Svizzera che sono sopravvissute la parola d’ordine oggi è “cambiare o morire”.
Ed è quello che sta cercando di fare il Corriere degli italiani. O meglio, il Corriere dell’Italianità. “Nel 2017 il giornale stava per chiudere”, ha illustrato la presidente della testata Paola Fuso in occasione di una conferenza organizzata a Zurigo a metà novembre per celebrare il 60esimo compleanno della pubblicazione. Si è però deciso che lo storico giornale non doveva morire. La scelta di continuare è stata accompagnata da un cambio di rotta importante. “Abbiamo deciso di cambiare il nome in Corriere dell’Italianità, che è un concetto più trasversale e non è più legato a un gruppo geografico preciso”.
“La nostra volontà è di rivolgerci da un lato a chi ha lasciato l’Italia, dall’altro anche a chi ama la cultura italiana”, ci spiega Rossana Cacace, da due anni direttrice del Corriere.
Il DNA del giornale – che nel 2021 aveva una tiratura di 5’000 copie a settimana – però non cambia. “Banalmente, il nostro giornale vuole non far sentire gli italiani e le italiane sole. C’è la necessità di integrarsi in una nuova realtà, ma anche di mantenere le proprie radici, non per fare gruppo o preservarsi, ma perché senza queste radici non si riesce a sbocciare”, prosegue Rossana Cacace.
Puntare maggiormente sul web, con temi più universali e che possono raggiungere un pubblico più ampio, sia in termini geografici che demografici, è stata una scelta imprescindibile per sopravvivere.
La versione cartacea, oggi pubblicata ogni due settimane, sarà trasformata dall’anno prossimo in un mensile, incentrato ancor di più sugli approfondimenti. Da gennaio 2023 sarà inoltre ulteriormente potenziata l’offerta online, con un’app specifica, che permetterà di trattare anche argomenti più legati all’attualità.
La svolta sembra dare i primi frutti: “Da 5’000 visite mensili sul sito a ottobre 2021, siamo passati in un anno a 35’000”, illustra Rossana Cacace.
Svolta rischiosa ma necessaria
Anche per Giangi Cretti questo passaggio al web è inevitabile: “Voler diventare il Corriere dell’Italianità, ampliando determinate tematiche, è legittimo e meritevole di approfondimento”. Con tutti i rischi che ciò comporta. “Il web è evidentemente più distaccato da una comunità di riferimento. Può essere utilizzato in modo globale, affrontando tematiche universali. Creare però una sintonia fra strumento, contenuti e pubblico di riferimento non è facile”, osserva il presidente della Fusie.
Il pericolo è insomma di perdere il pubblico tradizionale, abituato a ricevere notizie relative alla sua comunità, senza però riuscire a conquistarne uno nuovo. “Mentre prima la connotazione era molto chiara – eri il giornale della comunità italiana in Svizzera – volere fare il passo oltre, imporrà di confrontarsi con una concorrenza diversa. Calcando un po’ i tratti, si entra in collisione con testate come possono essere il Corriere della Sera o Repubblica“. La vera sfida – conclude Cretti – sarà di riuscire a dare al giornale un’identità riconosciuta e riconoscibile”.
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