Comites, gli italiani all’estero al voto per contare di più
La lunga e travagliata storia delle organizzazioni politiche degli italiani all'estero conoscerà un passaggio istituzionale, forse sottostimato ma di una indubbia rilevanza, il prossimo 3 dicembre quando gli emigrati eleggeranno i membri Comites (Comitati degli italiani all'estero) presenti nelle 101 circoscrizioni consolari. Ma preoccupa il calo dei votanti.
Questi organismi, la cui istituzione risale ormai a oltre una trentina di anni fa, sono stati concepiti per creare un collegamento tra le numerose e folte comunità degli espatriati con le rappresentanze consolari e diplomatiche del Belpaese ma la loro rilevanza pratica continua ad essere oggetto di discussione, in particolare negli ultimi decenni in cui è ripresa l’emigrazione, che ha però assunto connotati nuovi.
I cittadini italiani residenti all’estero possono iscriversi entro il 3 novembre nell’elenco elettorale del proprio consolato, facendone espressa richiesta, attraverso il portale dei servizi consolari Fast It (al link: https://serviziconsolari.esteri.it/ScoFE/index.scoCollegamento esterno). In alternativa inviando l’apposito modulo per posta ordinaria o elettronica alla rappresentanza diplomatica. Le liste dei candidati, residenti all’interno della relativa circoscrizione, sono state depositate dal 23 settembre al 3 ottobre 2021. Il voto si svolge per corrispondenza entro la data del 3 di dicembre. I 106 Comites (di cui 5 di nomina consolare) nei cinque continenti (50 in Europa, 44 nelle Americhe, 7 in Asia e Oceania, 4 nell’area medio-orientale e 3 in Africa subsahariana), sono composti da 12 o 18 membri a seconda della popolazione nella circoscrizione (più o meno di 100’000 italiani). Oltre ai membri eletti di cittadinanza italiana, possono far parte del Comitato, per cooptazione, cittadini stranieri di origine italiana in misura non eccedente un terzo degli eletti (4 o 6 membri). I Comites sono definiti dalla legge come organi di rappresentanza degli italiani all’estero nei rapporti con le rappresentanze diplomatico-consolari.
“Sono strumenti indispensabili per la rappresentanza degli italiani all’estero presenti in tutti i continenti. Sono oltre 6,4 milioni, cifra alla quale va aggiunto almeno un altro milione di persone che non sono censite presso gli uffici consolari per i motivi più vari, non ultimo di tipo sanitario”, afferma Michele Schiavone, segretario generale del Cgie. Più precisamente i Comites sono “il punto di riferimento per integrare e sostenere le comunità italiane, interagendo con le sedi consolari e le autorità territoriali”.
A questo scopo, continua il dirigente del Cgie, nell’adempimento del loro mandato che dura cinque anni, i rappresentanti dei singoli Comites si fanno portatori degli interessi di formazione, promozione del turismo e della cultura italiana, diritti, assistenza e integrazione dei connazionali delle comunità di riferimento. Ma per comprendere meglio la loro essenza è utile fare un passo indietro.
Una storia “svizzera”
Le prime forme di rappresentanza di questo tipo nacquero nel 1967 quando furono istituiti. con il Dpr n. 18, i CoAsIt (Comitati di assistenza consolare), di nomina consolare. Ma la modalità della loro designazione, sostiene lo storico Toni Ricciardi, creò difficoltà nel mondo associativo.
In particolare in Svizzera, il paese con il maggior numero di associazioni di immigrati italiani registrate nel secolo scorso, “a cui questa organizzazione andava un po’ stretta, tant’è che già negli anni ’70 – dopo le iniziative referendarie anti-stranieri di Schwarzenbach che portarono alla costituzione del Comitato nazionale di intesa nel 1970 – il mondo associativo era in subbuglio, nel senso che pretendeva tecnicamente questa rappresentanza diretta”.
Non a caso, spiega sempre lo storico delle migrazioni all’Università di Ginevra, la prima forma dei comitati consolari di coordinamento delle attività assistenziali (Cococo) nacque nella circoscrizione consolare di Zurigo, dove era forte la rappresentanza associativa (Acli, colonie libere, missioni cattoliche e associazioni di vario tipo, anche di carattere regionale nate in quegli anni). E sempre nella città sulla Limmat si elessero per la prima volta nel 1976 a suffragio universale, nonostante la vacatio legis, i loro rappresentanti. “Da questo punto di vista – insiste Toni Ricciardi – la Svizzera fece da apripista”.
L’attività dei Comites spiegata da un video della Farnesina.
Bisognerà però aspettare il 1986, un anno dopo la creazione, con la legge 205, dei Coemit (Comitati dell’emigrazione italiana), per giungere all’elezione di questi organismi rappresentativi a livello mondiale (ad eccezione di alcuni paesi come Germania e Australia). Successivamente (1990) ai Coemit subentrarono i Comites e fu istituito il Cgie, eletto dai componenti dei primi. Tredici anni dopo infine, si procedette a una revisione radicale del regime giuridico di queste strutture.
Organismi di rappresentanza al passo con i tempi
Un percorso non del tutto lineare, che ha conosciuto anche l’affermazione di altre forme rilevanti di rappresentanza di questa categoria di cittadini, come le circoscrizioni estere che invieranno a Roma (dopo l’ultima riforma) otto deputati e quattro senatori. È quindi legittimo interrogarsi sull’aderenza dei Comites alla realtà attuale, dal profilo sociale, economico e politico.
Hanno bisogno di essere riformati ed essere adeguati alle attuali realtà delle nostre Comunità, osserva in proposito Michele Schiavone (Cgie) ma “sottolineerei il fatto che questi organismi sono stati antesignani della rappresentanza e emulati da altri paesi come Spagna e Francia”. Il loro ruolo comunque “non va reinventato ma rafforzato: dovrebbero diventare punti di riferimento più agili per i nostri connazionali di emigrazione storica e per i nuovi espatriati”.
In quest’ottica ” oggi non emigra solo l’accademico ma, come ha evidenziato la pandemia, anche chi ha fame” e i Comites offrono “un supporto per orientare i nostri connazionali in paesi anche lontani”. Per questo, continua il segretario generale del Cgie, è importante incrementare i diritti e le agevolazioni per i soggetti deboli che non dispongono del necessario bagaglio di conoscenze in contesti nuovi e sconosciuti o lontani dalle rappresentanze diplomatiche italiane.
Una ipotetica estensione del loro ruolo
I Comites sono organismi dell’emigrazione italiana in costante divenire, precisa in proposito Toni Ricciardi, e una delle discussioni costanti, da quando sono nati, è quella della loro riforma “per renderli più aderenti alle realtà territoriali e alle esigenze delle persone e, se si vuole, più utili”. Negli anni ’70, continua lo storico, in Italia e soprattutto in Svizzera, dove fu forte la spinta della Federazione delle Colonie Libere, si rivendicava il fatto che questi avessero le stesse facoltà dei consiglieri comunali.
“Bisogna trovare delle soluzioni di livello intermedio per le procedure più semplici” e questo sarebbe possibile trasformando da un lato i Comites in consigli, con una sorta di status giuridico di amministratore locale, e dall’altro delegando alcuni servizi essenziali ad altre forme di rappresentanza degli italiani nel mondo, come i padronati. “Ma da questo punto di vista poi la storia è andata un po’ diversamente”.
Ipotesi sulle quali non concorda però Michele Schiavone, per il quale i Comites sono organi di rappresentanza e non erogano servizi: “Non hanno questa funzione e non l’avranno”. Nell’immaginario vengono semmai assimilati alle rappresentanze delle amministrazioni provinciali.
Riguardo invece alla mobilità italiana dell’ultimo ventennio, a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, per Toni Ricciardi “bisogna smontare una finta narrazione che è quella della fuga di cervelli”, vale a dire persone altamente qualificate che girano il mondo e che tutto sommato non necessitano di tutta questa infrastruttura istituzionale: “Oltre i due terzi di coloro che si spostano in Europa non sono nemmeno laureati”.
Per questo motivo “credo onestamente che i Comites come il Cgie servano molto”, soprattutto alla luce delle esigenze di enorme mobilità di oggi che non sono tanto dissimili dalle esigenze degli anni ’70. Anche se si manifestano in maniera diversa e con forme comunicative differenti, come dimostra il fatto che “molto viene ormai erogato attraverso i social media”.
Voto reso più complicato dalla recente riforma
Un ultimo aspetto, di stretta attualità, è quello del crollo dei votanti alle elezioni dei Comites, che rischia di riproporsi anche il 3 dicembre, dovuto essenzialmente all’obbligo di iscrizione preventiva per espletare il diritto di voto da parte degli italiani all’estero introdotto nel 2015. Una condizione resa ancora più penalizzante, asserisce Michele Schiavone, dalla “comunicazione scadente”, confinata nei portali e nelle bacheche dei vari consolati e ambasciate.
Il risultato è stato che nella consultazione elettorale del 2015, a titolo d’esempio, si è recato alle urne solo il 3,7% dei 3 milioni di connazionali aventi diritto di voto, 175’000 dei 230’000 italiani registrati nella circoscrizione consolare, mentre 5 anni prima erano stati il 37,5%. “È una stortura procedurale, per molti versi incostituzionale, che il Consiglio Generale degli Italiani all’estero ha messo in discussione chiedendo a più riprese al governo e al parlamento di modificare perché rischiano di rendere queste rappresentanze marginali”, ci tiene a dire Michele Schiavone per il quale ” è necessario implementare la partecipazione al voto perché è in gioco la credibilità stessa” dei Comites. Un’asserzione che potremo verificare il prossimo 3 dicembre.
Sulle modalità di partecipazione al voto il video esplicativo del Ministero degli Esteri italiano.
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