Anche in Svizzera scienziati divisi sull’utilità del confinamento
Era necessario fermare buona parte della Svizzera per quasi due mesi per lottare contro la Covid-19? Un esperto di gestioni di catastrofi teme che il rimedio sia stato in definitiva peggiore del male. Il dibattito è lanciato, mentre la popolazione svizzera esce piano piano dal confinamento.
“L’isolamento – o confinamento – dei Paesi europei ha prodotto un risultato che siamo stati in grado di quantificare, ovvero una riduzione dei decessi dell’ordine di 50 persone per milione di abitanti”. Secondo i calcoli del team guidato dal professore Didier SornetteCollegamento esterno, esperto di rischi presso il Politecnico federale di Zurigo (ETHZ), il semi-confinamento da cui la Svizzera sta lentamente uscendo avrebbe permesso di evitare 400 morti rispetto all’approccio più moderato “alla svedese”. Oggi in Svizzera si contano 1’800 decessi a causa della Covid-19.
I calcoli e i commenti di questo specialista nella gestione dei disastri epidemiologici e nucleari stanno scuotendo il mondo scientifico. Retrospettivamente, giudica con severità il modello del confinamento o ‘lockdown’: “Uno strumento brutale, medievale, a cui far capo in ultimo ricorso quando si è disarmati o in uno stato di massima incertezza”. Inoltre, sapendo che forse la Covid-19 era già presente in Svizzera all’inizio dell’anno, il confinamento tardivo – sostiene Sornette – avrebbe avuto un effetto molto limitato.
“Il confinamento è uno strumento brutale, medievale, a cui far capo in ultimo ricorso quando si è disarmati”.
Didier Sornette, professore al Politecnico di Zurigo
“Addormentati al volante”
Per Didier TronoCollegamento esterno, professore presso il Laboratorio di virologia e genetica del Politecnico di Losanna e membro della task-force Covid-19, incaricata di consigliare le autorità federali, “è un po’ facile presentare questi calcoli due mesi dopo”. All’inizio del confinamento “nessuno sapeva, neppure noi scienziati, se il vaso sarebbe traboccato. E soprattutto se le infrastrutture ospedaliere sarebbero state in grado di resistere allo shock”.
Didier Sornette, dal canto suo, è convinto che il processo sia stato già mal gestito in termini di prevenzione. “Ci siamo addormentati al volante”, riassume. “Così abbiamo dapprima assistito a una negazione dell’importanza di questa pandemia che si stava sviluppando in Cina, poi a una critica della Cina che confinava in modo eccessivo. Un paese apparentemente incompetente. In seguito, la Covid-19 è arrivata da noi e non eravamo sufficientemente preparati. In alcuni paesi europei c’è stato il panico e molti hanno cominciato ad imitare la Cina, ma meno bene. Non si sarebbero dovute attuare misure di confinamento così brutali, bensì focalizzarsi sulle zone calde e gli epicentri”.
Didier Trono ha una posizione più sfumata: “In alcune regioni – Ticino, Basilea e la regione del Lemano – la Covid-19 si è diffusa a macchia d’olio, con più punti d’ingresso simultanei e colpendo una popolazione priva di qualsiasi immunità specifica. Eravamo confrontati con un virus che non conoscevamo e che si propagava molto rapidamente. Si è quindi dovuto agire con urgenza”. Non si è pensato ai danni collaterali del confinamento, “poiché la salute delle persone e la protezione del sistema medico-ospedaliero primeggiavano”.
Valutare il valore della vita
Per Didier Sornette, in un primo tempo la SARS-CoV-2 è stata ritenuta paragonabile – in termini di tassi di mortalità – “all’influenza asiatica del 1957 e a quella di Hong Kong del 1968, due epidemie che avevano un tasso di mortalità dello 0,2%. Hanno causato un milione di morti nel mondo, soprattutto persone vulnerabili. Naturalmente queste cifre sono tragiche, ma non è nemmeno la fine del mondo”, afferma.
“Più recentemente – prosegue l’esperto – sembra confermarsi che il tasso di mortalità tra le persone contagiate sia piuttosto nell’ordine dello 0,8-1%. Questa cifra è però fuorviante poiché cela enormi differenze – di un fattore di 1’000 o più – tra le persone fragili o anziane, con gravi comorbidità e quelle sane. Bisognava e bisogna proteggere in modo selettivo”.
“Le influenze menzionate dal mio collega non erano così fulminee come la Covid-19, anche se possono effettivamente essere definite delle mini-pandemie – gli risponde Didier Trono. Resta il fatto che stimare il valore di una vita umana è un esercizio delicato”.
Considerare tutte le ricadute
Didier Sornette è dell’opinione che si debba mettere tutto sul piatto della bilancia: “Le vite salvate grazie al confinamento sono compensate dalle vite messe in pericolo a causa di esso?”. Per Didier Trono, “porre questa domanda è utile non tanto per cercare di darvi una risposta, ma piuttosto per sforzarsi adesso di prevenire gli effetti secondari a lungo termine ed evitare un ritorno dell’epidemia nel momento in cui il confinamento è allentato”.
Già da qualche tempo, Didier Sornette e il suo team analizzano le reazioni comportamentali a catena generate dall’esperienza del confinamento. L’obiettivo è di determinare se le reazioni avranno conseguenze più gravi della Covid-19, in particolare sulla salute e sull’equilibrio mentale degli individui, nonché sulle rotture delle catene alimentari che fanno planare lo spettro della carestia su milioni di persone nel mondo.
Il suo approccio propugna “scelte equilibrate” che prendono in considerazione il breve, medio e lungo termine. Sornette si rammarica dell’assenza di pediatri o cardiologi nelle task force che da marzo consigliano i governi. “Senza parlare della mancanza di economisti o di specialisti delle catene di approvvigionamento”. Sornette critica le autorità soprattutto per aver ascoltato – in questo preciso caso – solo scienziati specializzati in un ambito molto ristretto.
Mentre gli svizzeri riprendono lentamente una parvenza di vita normale, Didier Sornette auspica inoltre che venga promossa quella che nel suo gergo chiama “resilienza individuale”. Ovvero prendere in considerazione l’individuo, allorché ci si è “focalizzati su risposte della società”.
Demolire i modelli
L’esperto zurighese lancia a modo suo una sfida al mondo scientifico: “Trovo troppo vulnerabili le conclusioni a cui giungono i modelli utilizzati dagli epidemiologi. Non sono persone d’azione. Dispongono di conoscenze troppo compartimentate”.
“Eravamo confrontati con un virus che non conoscevamo e che si propagava molto rapidamente. Si è quindi dovuto agire con urgenza” Didier Trono, virologo al Politecnico di Losanna
Didier Trono, che assiste il governo svizzero nell’ambito della task-force Covid-19, nella quale presiede il gruppo ‘Diagnostica e test’, non si riconosce nell’immagine di specialista rinchiuso nella sua torre d’avorio: “Questa task-force comprende naturalmente epidemiologi, ma anche una maggioranza di medici, economisti, biologi ed altri specialisti nei settori rilevanti. Inoltre, sia io che i miei colleghi abbiamo contatti regolari con rappresentanti di tutti i settori, compreso quello privato, a livello nazionale e internazionale”.
Per quanto riguarda la vulnerabilità dei modelli… niente di nuovo sotto il sole, secondo questo specialista in malattie infettive. “Un modello serve per guidare la riflessione. Dico spesso ai miei collaboratori che bisogna elaborare un modello e cercare poi di smontarlo per compiere dei progressi…”.
Modello svedese
Didier Sornette pensa che un confinamento più ‘light’ sarebbe bastato in Svizzera, grazie al distanziamento sociale, alle altre misure di precauzione e alla protezione dei gruppi a rischio. Al pari d’altri, cita la strategia adottata dalla Svezia – che ha lasciato una certa libertà di movimento – come un’alternativa possibile. “Anche in questo caso bisognerà però trarre le conclusioni sul medio e lungo termine, in funzione di una seconda ondata o meno e considerando le conseguenze sanitarie ed economiche”.
Didier Trono relativizza invece il successo del modello svedese: “Non funziona così bene se si osservano il numero di morti causati dalla Covid-19 e l’incidenza giornaliera dei nuovi casi nel paese”. Nella pratica, poi, “il modello svedese ha dei punti comuni con quanto si è fatto in Svizzera. Buona parte delle persone lavora da casa, molti bar e ristoranti sono chiusi e il distanziamento è rispettato dalla popolazione. Uno dei miei amici svedesi mi ha detto che è più semplice di chiedere ai suoi compatrioti di rispettare il distanziamento sociale poiché per buona parte dell’anno… restano al caldo a casa loro. Questo distanziamento è più difficile per la gente dei paesi del sud dell’Europa, che hanno spesso comportamenti più calorosi”.
Prima dell’arrivo di un eventuale vaccino, la speranza è di riuscire a contrastare la pandemia grazie all'”immunità collettiva”. Un’ipotesi a cui Didier Sornette crede. Prima di tutto ” per evitare le conseguenze indesiderate di potenziali blocchi ricorrenti”. Ma in realtà, nessuno sa veramente se una seconda ondata di coronavirus si manifesterà già quest’estate.
Traduzione di Daniele Mariani
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