L’orientamento sessuale non giustifica un licenziamento
La Corte suprema degli Stati Uniti ha deciso che un lavoratore o una lavoratrice non possono essere licenziati perché gay o transessuali.
“Oggi dobbiamo decidere se un datore di lavoro può licenziare qualcuno solo perché è omosessuale o transessuale; la risposta è chiara: la legge lo vieta”, ha sentenziato la Corte suprema, con una decisione accolta da sei giudici su nove.
“È un’enorme vittoria per l’uguaglianza dopo decenni di lotta”, ha commentato James Esseks, uno dei responsabili dell’Unione americana per le libertà civili.
Nel 1964 una legge federale aveva vietato la discriminazione in base al sesso, ma la maggioranza dei tribunali, così come l’attuale amministrazione repubblicana, riteneva che la norma si applicasse solo alle differenze di genere e non alle minoranze sessuali.
Solo una ventina di Stati hanno leggi più specifiche. Per questo gran parte dei lavoratori e lavoratrici americani potevano essere licenziati o vedersi rifiutata una promozione a causa del loro orientamento sessuale.
Nel 2015, la più alta corte degli Stati Uniti aveva esteso il diritto di sposarsi alle coppie dello stesso sesso. I difensori delle minoranze sessuali temevano però che con la nomina da parte di Donald Trump di due giudici conservatori l’ago della bilancia pendesse ora dall’altra parte.
Eppure, è stato proprio uno di loro – Neil Gorsuch – a redigere la decisione della maggioranza, allineandosi così sulla posizione dei quattro giudici progressisti e del presidente della Corte suprema John Roberts.
Brett Kavanaugh, l’altro giudice nominato da Trump, si è invece opposto, ritenendo che spettasse al Congresso e non ai tribunali cambiare la legge.
Il servizio del TG:
Tre casi distinti
Concretamente, la Corte suprema si è pronunciata su tre casi distinti. Due riguardavano dei dipendenti gay licenziati appunto a causa del loro orientamento sessuale. Il tribunale ha inoltre per la prima volta esaminato il dossier di una persona transgender, Aimee Stephens.
Dopo aver lavorato come uomo per sei anni in un’impresa di pompe funebri a Detroit, aveva annunciato al suo datore di lavoro di volere cambiare sesso. Quest’ultimo l’aveva quindi licenziato in nome dei suoi valori cristiani.
Aimee Stephens aveva così avviato una battaglia giuridica per dare visibilità a una minoranza spesso ignorata. “Era ora che qualcuno si alzasse e dicesse basta”, aveva dichiarato prima di un’udienza l’8 ottobre scorso. Aimee Stephens non ha però potuto assaporare la sua vittoria: sofferente di gravi problemi renali, è deceduta il 12 maggio, all’età di 59 anni.
tvsvizzera.it/mar con RSI (TG del 16.6.2020)
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