“La votazione sulla Brexit: non democrazia diretta, ma stupidaggine”
L’ex consigliere federale Kaspar Villiger ha scritto un libro sulla democrazia dove spiega il successo del sistema politico svizzero. Gli altri paesi potrebbero trarne degli insegnamenti, afferma il magistrato. Che però non è molto ottimista.
Nelle vesti di parlamentare, consigliere federale e presidente della Confederazione, Kaspar Villiger si è occupato per decenni del sistema politico svizzero. Nel suo nuovo libro propone alcune spiegazioni al fatto che la democrazia svizzera funziona meglio di altre.
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swissinfo.ch: Lei dedica il suo libro alle sue nipotine, con l’augurio che in un mondo pieno di incertezze non smarriscano mai la fiducia. La dedica suona piuttosto pessimista. È preoccupato per come vanno le cose nel mondo?
Kaspar Villiger: Buona parte dell’umanità sta meglio di quanto sia mai stata nel corso della storia. I rischi sono però enormi, dalle questioni ambientali al pericolo di guerre commerciali, passando per l’ascesa di partiti populisti ostili alla democrazia, i rischi di proliferazione nucleare, il terrorismo e la disgregazione di alcune compagini statali. Naturalmente sono preoccupato. Ma non mi occuperei così intensamente di tali questioni se non credessi che si possano trovare delle soluzioni.
Kaspar Villiger è nato nel 1941. Dopo aver studiato ingegneria meccanica al Politecnico federale di Zurigo (ETH) ha diretto l’azienda di famiglia Villiger Söhne SA. È stato deputato del Partito liberale democratico in parlamento e nel 1989 è stato eletto nel Consiglio federale. Dopo le dimissioni nel 2003 ha fatto parte del consiglio di amministrazione di varie aziende, tra cui Nestlé, Swiss Re e UBS. È anche autore di vari libri. La sua ultima opera, pubblicata per i tipi di NZZ Libro, si intitola “Demokratie – Jetzt erst recht! Politik im Zeitalter von Populismus und Polarisierung” (Democrazia, ora più che mai! La politica nell’epoca del populismo e della polarizzazione).
swissinfo.ch: Il successo della Svizzera si basa a suo avviso su una combinazione equilibrata di libertà, limitazione del potere e partecipazione cittadina. Cosa intende?
K. V.: La scienza politica ci insegna che il pericolo di una crisi che metta in questione l’esistenza di uno Stato è tanto maggiore quanto minori sono i controlli sul potere dell’esecutivo. La partecipazione cittadina permette di creare un senso civico più solido, fa crescere l’identificazione con lo Stato e aumenta il grado di accettazione delle decisioni politiche. E solo in un regime di libertà le persone possono sviluppare i loro talenti e la loro creatività.
swissinfo.ch: Il modello svizzero è “esportabile” in altri paesi?
K. V.: Il sistema svizzero è il risultato del lavoro di numerose generazioni. Non si può semplicemente esportare. Ma altri ne possono trarre degli insegnamenti.
swissinfo.ch: Anche paesi con conflitti religiosi o etnici? La Svizzera è divisa dal punto di vista confessionale, linguistico, etnico e culturale. Ciononostante è straordinariamente stabile dal punto di vista politico. Lei riconduce questa stabilità alla cultura politica, basata sulla partecipazione dei cittadini e sulla limitazione del potere politico.
K. V.: Nel mondo innumerevoli frontiere sono state tracciate in modo completamente arbitrario. Per questo gli Stati omogenei dal punto di vista etnico, religioso e culturale sono un’eccezione. In molti paesi ne derivano tensioni problematiche fra minoranze e maggioranza. La creazione del canton Giura ha dimostrato che il federalismo può risolvere questi problemi. Non ci sono ricette preconfezionate e ogni paese deve trovare la sua strada. Esistono tuttavia principi e strutture che si sono rivelati efficaci alla prova dei fatti. La situazione in Catalogna potrebbe essere risolta in questo modo, ma le teste dure dalle due parti hanno complicato le cose.
swissinfo.ch: Lei scrive che la democrazia è lo strumento migliore contro i conflitti fra Stati. Le guerre potrebbero essere evitate se un maggior numero di paesi adottasse il modello svizzero di democrazia diretta?
K. V.: Non succede quasi mai che tra due democrazie scoppi una guerra. Per questo la democrazia è il miglior strumento per evitare la guerra tra gli Stati. È indifferente che si tratti di una democrazia diretta o parlamentare. Le guerre tra Stati oggi non sono però il problema maggiore. Il vero problema sono le guerre interne agli Stati. In questo caso la democrazia può anche esacerbare i conflitti, per esempio quando una minoranza è oppressa dalle decisioni di una maggioranza.
“Non succede quasi mai che tra due democrazie scoppi una guerra.”
swissinfo.ch: Le democrazie hanno quindi anche degli svantaggi?
K. V.: Sì. Il problema maggiore è la tentazione di una democrazia clientelare, vale a dire la tentazione di concedere favori ai propri elettori e a gruppi di interesse a spese della collettività per garantire la propria elezione. Un altro problema è la tentazione di aumentare il debito pubblico, perché i politici non sono personalmente responsabili dei debiti che hanno generato e perché il finanziamento di prestazioni attraverso l’indebitamento è più attraente rispetto a un aumento delle imposte. Dando una forma adeguata alle istituzioni si possono tuttavia evitare gli incentivi dannosi insiti nel sistema e in ogni caso i pregi della democrazia superano di gran lunga i suoi svantaggi. La democrazia resta tuttavia una forma statale impegnativa, che chiede molto anche ai suoi cittadini.
swissinfo.ch: Se con democrazia si intendono solo le decisioni prese dalla maggioranza, il risultato può essere anche un’autocrazia come quella di Erdogan in Turchia, scrive nel suo libro. Cosa significa dunque democrazia, se non il governo della maggioranza?
K. V.: Le decisioni prese dalla maggioranza possono anche violare i diritti fondamentali: per questo in uno Stato che rispetti la dignità delle persone la maggioranza non può fare tutto. Per questo la democrazia ha bisogno dello Stato di diritto. La garanzia di diritti fondamentali come le libertà civili, i diritti umani, la divisione dei poteri, ecc. devono essere protetti dalla costituzione. Se non è il caso, nasce una dittatura della maggioranza, che può sfociare rapidamente in una normale dittatura. Poiché le cose stanno così, la democrazia necessità anche di un consenso popolare sufficiente su questi diritti fondamentali.
swissinfo.ch: Lei scrive che i diritti popolari favoriscono l’integrazione delle minoranze, perché queste ultime possono forzare la discussione su un problema politico anche contro la volontà della maggioranza, attraverso un referendum o un’iniziativa popolare. Negli ultimi tempi si sente però spesso la critica che la democrazia diretta discrimina le minoranze. Che ne pensa?
K. V.: Ho già detto che la democrazia non può fare tutto. Ma il nostro diritto d’iniziativa permette di chiedere quasi tutto. È compito del dibattito politico di discutere una questione abbastanza a fondo da permettere ai cittadini di prendere una decisione responsabile e consapevole delle possibili conseguenze. Se guardiamo alla nostra storia, non possiamo affermare che il popolo non sia stato all’altezza di questa responsabilità.
swissinfo.ch. Nel suo libro scrive anche che il popolo ha deciso spesso più saggiamente del Consiglio federale e del parlamento. Può citare degli esempi concreti?
K. V.: L’esempio più recente è il no alla riforma della previdenza vecchiaia. Non era né giusta né sostenibile e avrebbe solo rinviato la vera soluzione del problema al futuro. Se la politica saprà trarre le dovute conclusioni da questo no è però ancora tutto da vedere.
swissinfo.ch: Lei è un sostenitore dell’iniziativa popolare perché questo strumento obbliga il governo e il parlamento a occuparsi di temi scomodi e perché le decisioni del popolo sono vincolanti. Tutto questo suona molto bene, ma nella realtà le cose vanno davvero così in Svizzera? Che dire dell’esame preliminare delle iniziative e della loro mancata applicazione?
K. V.: Naturalmente non è sempre così. Ma se vengono approvate iniziative formulate male o che chiedono cose quasi impossibili sorgono dei conflitti sulla loro applicazione. Il legislatore si trova spesso confrontato con un compito quasi insolubile. È anche un problema che riguarda i promotori dell’iniziativa, i quali a mio avviso hanno una grande responsabilità istituzionale. Del resto le iniziative vengono dichiarate nulle solo di rado e con molta cautela.
swissinfo.ch: Lei critica plebisciti come quello sulla Brexit perché non sono stati preceduti da un lungo processo di formazione di un’opinione politica, come invece avviene in Svizzera, e quindi possono condurre a risultati irrazionali. “Un lungo processo di formazione di un’opinione politica”: non è qualcosa di pericolosamente vicino alla propaganda?
K. V.: La votazione sulla Brexit non è stato un episodio di democrazia diretta, bensì una stupidaggine. La domanda non era abbastanza chiara e sono mancati processi solidi di discussione dei vantaggi e degli svantaggi in ambito scientifico e politico. Inoltre il popolo da noi ha un’esperienza decennale su decisioni simili. Nei processi di formazione dell’opinione politica c’è sempre anche della propaganda, ma si tratta di una propaganda che viene da tutte le parti e quindi la popolazione può farsi un’opinione. Inoltre per fortuna anche l’impiego di grandi somme nelle campagne di votazione non è una garanzia di successo.
swissinfo.ch: Se ho capito bene quello che ha voluto dire, a suo avviso la Svizzera non ha nessuna possibilità di spuntarla contro l’UE e a medio termine dovrà aderirvi. Quant’è realistico pensare che l’UE si avvicini alla cultura politica svizzera basata sulla partecipazione dei cittadini?
K. V.: Mi ha completamente frainteso. Vorrei se possibile che la Svizzera non aderisse mai all’UE. Se faremo quanto necessario, potremo sopravvivere con successo anche al di fuori dell’UE.
“Da noi non si può dire che i movimenti politici siano antidemocratici.”
Durante i negoziati sull’accordo sulla fiscalità del risparmio ho avuto l’impressione che i piccoli Stati dell’UE non abbiano niente da dire. Per questo la tesi secondo cui in caso di adesione la possibilità di partecipare alle decisioni di Bruxelles compenserebbe ampiamente la perdita di democrazia diretta e autonomia non è corretta. Ma se dovessimo mettere in pericolo il nostro benessere con errori di politica economica, l’adesione potrebbe rivelarsi un giorno una necessità.
swissinfo.ch: Il suo libro si intitola “Politica nell’epoca del populismo e della polarizzazione”. Sul piano del populismo e della polarizzazione la Svizzera è diversa da altri paesi europei?
K. V.: Sì. Da noi non si può dire che i movimenti politici siano antidemocratici. L’Unione democratica di centro (UDC) viene spesso paragonata a Le Pen in Francia e all’AfD in Germania. C’è però una grande differenza: l’UDC è un partito democratico che difende valori di libertà. È chiaro che anche in Svizzera ci sono eccessi di populismo a destra e a sinistra; pensi solo ai manifesti di propaganda e alle caricature degli anni ’30, ’40 e ’50. Però ho anch’io l’impressione che la polarizzazione aumenti e che quindi sia più difficile trovare dei compromessi validi. Abbiamo imboccato un cammino pericoloso, vorrei che vi fosse maggiore dialogo tra le varie parti politiche.
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