Corea del Nord, la Svizzera si propone come mediatrice
Berna è pronta a svolgere un ruolo di mediatrice per risolvere la crisi nordcoreana. Lo ha annunciato lunedì la presidente della Confederazione Doris Leuthard. Ma la via diplomatica sembra farsi più impervia, dopo il test nucleare di domenica.
“Siamo disposti a proporre i nostri buoni uffici […] in qualità di mediatori”, ha sottolineato Doris Leuthard durante una conferenza stampa con dei giornalisti stranieri. “È il momento di sedersi attorno a un tavolo. Le grandi potenze hanno delle responsabilità”.
La Svizzera ha dei soldati dispiegati nella zona demilitarizzata, alla frontiera tra le due Coree, e la Confederazione ha una lunga tradizione di neutralità in materia di diplomazia, ha ricordato Doris Leuthard.
Secondo la presidente della Confederazione, nuove sanzioni – come paventato da Angela Merkel e Emmanuel Macron – non faranno desistere Pyongyang dall’abbandonare il suo programma nucleare e missilistico.
Doris Leuthard non ha poi risparmiato una critica velata all’inquilino della Casa Bianca e agli adepti della ‘tweetplomacy’: “Penso che il nostro compito sia di cercare quali possibilità vi siano, poiché Twitter non sarà una strumento adeguato. Occorrerà agire in modo discreto”.
La Svizzera e i buoni uffici
Con il termine di buoni ufficiCollegamento esterno si intendono tutte quelle procedure di conciliazione volte a superare i conflitti fra gli Stati.
Da decenni i buoni uffici sono uno dei pilastri della diplomazia svizzera. Grazie alla sua credibilità legata alla neutralità, la Svizzera è stata infatti spesso invitata ad occuparsi di iniziative di pace.
Il primo incarico in tal senso risale al 1872, quando Ginevra ospitò un tribunale arbitrale per porre fine a un contenzioso tra Stati Uniti e Gran Bretagna circa lo Stato dell’AlabamaCollegamento esterno.
Dopo la guerra di Corea (1953), la Confederazione fu chiamata dagli USA a creare due commissioni neutrali incaricate di rimpatriare i prigionieri e di sorvegliare l’armistizio di Panmunjeom.
Domenica il Dipartimento federale degli affari esteri aveva già indicato che Berna è “pronta a rispondere ad ogni sollecitazione che può contribuire agli sforzi per promuovere la stabilità e la pace nella penisola coreana”.
Il soggiorno bernese di Kim Jong-un
Il dittatore nordcoreano Kim Jong-un conosce bene la Svizzera. Negli anni ’90 ha infatti vissuto per alcuni anni nella capitale Berna, dove ha frequentato una scuola internazionale. Il giovane Kim sarebbe arrivato nel 1996, all’età di 12 anni, e ripartito nel 1998, prima di conseguire la maturità.
Secondo alcuni suoi compagni di classe, intervistati nel 2009 quando era uscita la notizia, Pak Chol (lo pseudonimo utilizzato da Kim Jong-un) era un ragazzo introverso, a cui piacevano gli sport di squadra, la pallacanestro in particolare.
La pallacanestro rischia fortemente di essere in questo momento l’unico terreno d’intesa con Donald Trump. Il presidente statunitense si è fatto illustrare domenica tutte le opzioni militari sul tappeto.
Il messaggio del segretario alla difesa Jim Mattis non lascia adito a dubbi: “Qualunque minaccia ai territori statunitensi come Guam e ai nostri alleati, scatenerà una massiccia risposta militare, efficace e schiacciante. Non vogliamo annientare nessuno, ma abbiamo diverse possibilità per farlo”.
La Corea del Sud – insieme al Giappone il principale alleato statunitense nella regione – ha invece già reagito, simulando un attacco a uno dei siti nucleari nordcoreani e dispiegando nuove unità del sistema di difesa THAAD, criticato e giudicato una minaccia dalla Cina.
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