Italia e Svizzera, cosa succederà dopo il 4 marzo?
Il voto del 4 marzo, sicuramente rilevante per le vicende italiane, viene osservato con attenzione anche al di qua della frontiera per i possibili impatti che potrebbe avere sugli intensi e variegati rapporti italosvizzeri, che stanno conoscendo una nuova stagione non esente da qualche ombra.
Numerose le questioni che tengono impegnate, con successi alterni, le diplomazie dei due paesi, dal corposo dossier finanziario, alla cooperazione in tema di migrazioni, dalla partecipazione elvetica al mercato unico alla tassazione dei lavoratori transfrontalieri.
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Proprio quest’ultimo soggetto, visto con una certa preoccupazione da questa categoria di lavoratori italiani, è stato evocato anche da leader politici nel corso della campagna elettorale e in particolare il leghista Matteo Salvini nelle scorse settimane ha frenato sulla firma dell’intesa fortemente voluta dalla Confederazione. “Resistenze in Italia ci sono”, così come sono evidenti “le responsabilità del governo che non è riuscito a portare avanti un impegno preso”, ammette Gianni Farina, presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-Svizzera e candidato nella Circoscrizione Europa.
L’approssimarsi dell’appuntamento elettorale “ha effettivamente complicato le cose ma non credo che alla fine l’accordo non verrà firmato”. Per il deputato uscente del Partito democratico “il centrodestra non è omogeneo” e in particolare in Forza Italia prevalgono istanze favorevoli alle libertà e agli scambi economici che sembrano escludere passi indietro su “un compromesso che ha risolto un contenzioso che si trascinava da decenni”.
Più sfumata la posizione di Stefano Gualandris (Lega) per il quale la fiscalità dei frontalieri “è una questione eminentemente italiana e in questa sede va risolta”, dal momento che questo è “un problema di riconoscimento di determinati diritti che non riguarda la Confederazione”.
Per l’esponente del centrodestra questa categoria di lavoratori italiani non è certamente composta dai “ratti raffigurati in recenti campagne politiche” (ndr, nel Canton Ticino), ma d’altro lato occorre continuare a distinguere chi realmente vive all’interno di una fascia di 20 km dal confine e prevenire il fenomeno del dumping salariale in Svizzera. Resta il fatto che, per Stefano Gualandris, “nella prossima legislatura va affrontata, con i dovuti correttivi, la questione della ‘road map’ concordata tra Italia e Svizzera”.
Bocciatura dell’intesa viene dalla candidata del Movimento 5 Stelle Daria Costeniero per la quale il carico fiscale dei frontalieri “sarà molto più pesante e saranno costretti, in quanto italiani, a ricordarsi ancor di più quanto sia vorace il fisco”. L’aspirante senatrice ritiene infatti che “la vigente regola di tassazione ha consentito di avere maggiori disponibilità di reddito e ciò è sicuramente una cosa positiva per le ricadute economiche dirette ed indirette da entrambi i lati della frontiera”.
Il nodo della libera circolazione
Altro argomento spinoso che in un modo o nell’altro condiziona le relazioni bilaterali è costituito dalle presunte minacce alla libera circolazione delle persone che vengono riproposte a scadenze regolari da una parte precisa dello schieramento politico svizzero. L’applicazione eurocompatibile dell’iniziativa del 2014 contro l’immigrazione di massa lanciata dall’Unione democratica di centro (destra) era stata una condizione espressa posta dal governo italiano alla futura firma dell’accordo sui frontalieri.
Con malcelato disappunto di Roma erano state accolte anche varie decisioni cantonali ticinesi, ritenute non conformi alle intese firmate con Bruxelles (obbligo del casellario giudiziale per i permessi per frontalieri e dimoranti, obbligo di iscrizione all’albo cantonale degli artigiani, iniziativa popolare anti frontalieri “Prima i nostri”, chiusure notturne di valichi doganali, e via discorrendo).
Una politica che sorprende in parte il mondo politico italiano: “La Svizzera ha costruito le infrastrutture per la libera circolazione in Europa e per far incontrare le genti”, evidenzia Gianni Farina. “Non ha certo realizzato le grandi gallerie ferroviarie di AlpTransit per andare da Zurigo a Lugano, è assurdo”, commenta sempre il portavoce del gruppo interparlamentare italiano, per il quale il popolo si dimostra spesso “più saggio dei suoi rappresentanti (…) e il mondo è più avanti di quanto sembra emergere dalle contingenti polemiche partitiche”.
Anche perché in definitiva “Lombardia e Ticino sono la stessa cosa” ed è ineluttabile che queste due realtà, al di là degli interessi, delle aspettative e dei privilegi locali da difendere, “siano destinate a procedere assieme”.
La pentastellata Daria Costeniero in proposito dice di comprendere la necessità di una seria gestione dei flussi migratori “ma certe posizioni paiono un po’ troppo intransigenti”, anche per i danni economici che ne possono derivare. “Alcuni studi parlano di ricadute negative per miliardi di franchi, ma oltre all’aspetto economico rischia di venir meno, per la Svizzera, la possibilità di accesso alle banche dati comunitarie, utile strumento di lotta alla criminalità”.
Analisi non troppo dissimile da quella di Stefano Gualandris (Centrodestra-Lega) secondo cui l’iniziativa lanciata dall’UDC “in sé può essere compresa ma è assai pericolosa anche dalla prospettiva elvetica” poiché “la disdetta degli accordi bilaterali, conseguente a un eventuale voto popolare contrario alla libera circolazione, potrebbe averte effetti molto negativi per l’economia elvetica”.
Anche noi, continua l’esponente della coalizione Lega- FI-FdI, “siamo contrari all’attuale Ue e alcune sue regole non ci piacciono” ma un’eventuale uscita da questa organizzazione internazionale non sarebbe certo “una soluzione per l’Italia” e, fate le debite differenze, anche sul lato svizzero verrebbero meno “importanti collaborazioni in ambito energetico, dei trasporti, spaziale ed educativo (Erasmus)”.
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Ma la vertenza che più si è acuita negli scorsi mesi tra Confederazione e Unione europea investe il ramo finanziario. Bruxelles, che preme per un accordo istituzionale generale con Berna, ha prorogato solo di un anno l’equivalenza della borsa elvetica a quelle del continente. E soprattutto gli istituti finanziati rossocrociati continuano ad essere penalizzati sul mercato italiano dopo che il Decreto legislativo numero 129 del 3 agosto 2017 (che attua la Direttiva Ue 65 del 2014) impone l’obbligo di succursale per poter operare nella penisola.
“Le regolamentazioni di accesso sono essenzialmente legate agli obblighi UE”, sostiene al riguardo Daria Costeniero (M5S). “Oggi la sensazione è che si tenda ad uno stand-by strumentale ed è anche chiaro che per la Svizzera è legittimo tentare, nelle more, la via degli accordi bilaterali. Una maggiore apertura può essere sinergica per entrambi i paesi e alla fine agevolare i servizi erogati ai cittadini”.
Più netto il giudizio di Stefano Gualandris (Lega) per il quale “è assurdo e senza giustificazione alcuna trattare la Svizzera, dove la trasparenza è ormai garantita, come un paese che fa operazioni illegali”. La regolamentazione imposta agli operatori elvetici, sottolinea sempre il candidato del centro-destra, rappresenta una scelta di tipo protezionistico fatta da questo governo che ha il solo scopo di tutelare le sue società”.
Da parte sua Gianni Farina (Pd) ritiene che occorra “senz’altro applicare il principio della reciprocità in ambito finanziario”. La questione della discriminazione degli operatori finanziari elvetici, sottolinea sempre il parlamentare democratico uscente “la condivido poiché la preoccupazione è reale e l’esigenza pure”. Se poi alle parole seguiranno i fatti lo si potrà vedere dal 5 marzo in avanti.
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