Il “dono svizzero” per Formia
A Formia, in Lazio, da oltre 70 anni l’ospedale porta un nome piuttosto curioso, a testimonianza della solidarietà manifestata dalla Svizzera dopo la fine della Seconda guerra mondiale.
A inizio anno è arrivata la notizia ufficiale: entro il 2025 a Formia, comune nel Sud del Lazio, nascerà un nuovo ospedale che andrà a sostituire quello vecchio, il cui nome racconta dell’amicizia tra due popoli e dell’aiuto che la Svizzera offrì all’Italia durante uno dei momenti più difficili della sua storia.
L’ “Ospedale del Dono Svizzero” è una struttura in calcestruzzo inaugurata nel 1962. Nonostante il nome, però, a costruirlo fu il Governo italiano con fondi propri. Il nome fu scelto per ricordare un altro ospedale: quello che nel 1949 sorse in una delle zone più pesantemente colpite dai bombardamenti alleati.
“Tutto iniziò nei mesi immediatamente successivi alla fine della Seconda Guerra Mondiale”, ci racconta il dottor Aldo Treglia che al “Dono Svizzero” è stato cardiologo per 36 anni prima di andare in pensione nel 2016. “Quell’ospedale mi è rimasto nel cuore. Così ho deciso di raccogliere quante più informazioni possibili sulla sua storia per farla conoscere a tutti i nostri concittadini”, spiega il dottor Treglia.
Il medico, dunque, ha trascorso diversi mesi nell’Archivio storico del comune di Formia alla ricerca di documentazioni ufficiali relative all’ospedale. Ne ha trovate talmente tante da buttar giù un libro che andrà alle stampe tra qualche mese.
I bombardamenti di Montecassino
Alla fine del 1945, gran parte dell’Italia era un cumulo di macerie. Tra le città più colpite dai bombardamenti alleati figurava Cassino, importante centro culturale e commerciale a 120 chilometri a sud di Roma. Qui nel 1944 le forze aeree anglo-americane avevano distrutto tutto, compresa l’abbazia di Montecassino, un monastero benedettino la cui prima pietra risale al 529 d.C. e che fu quasi completamente cancellato dalle bombe degli alleati che sospettavano la presenza in loco di reparti tedeschi. Né furono risparmiate le cittadine che sorgevano nei dintorni, tra cui la stessa Formia che – racconta Treglia – fu distrutta per l’80%.
Con la fine delle ostilità, la notizia della distruzione di Montecassino fece il giro d’Europa arrivando fino in Svizzera. Fu probabilmente per questo che, tra le tante iniziative che il Governo confederato decise di portare avanti per aiutare l’Italia a rimettersi in sesto, fu deciso di finanziare la costruzione di un ospedale nella zona.
Nel 1947 fu costituita una delegazione di cittadini elvetici – denominata “Organizzazione del Dono Svizzero per le vittime della guerra” – che aveva il compito di gestire la nascita dell’ospedale. Il primo compito da svolgere, però, era la scelta del luogo. All’inizio fu presa in considerazione la stessa Cassino che rappresentava il più ampio centro urbano della regione. Ma alla fine la scelta ricadde su Formia.
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“Non è chiaro quali siano state le motivazioni dietro questa scelta”, spiega Treglia. “I documenti ufficiali non ne fanno menzione. Possiamo affidarci solo alla tradizione orale e qui le cose si fanno complicate. Perché alcuni raccontano che si sia trattato di un fatto squisitamente politico. Per altri, invece, la scelta dipese dalla volontà di uno dei membri della Delegazione elvetica: il dottor Carlo Zuber”.
Tra chi propone questa seconda versione c’è Raffaele Capolino, appassionato di storia locale e membro della Associazione “Centro studi storici archivistici” di Formia. “Carlo era figlio di Gustav Zuberg, funzionario dell’ambasciata elvetica in Italia”, ci racconta Capolino. “Nato nel 1917, si laureò in medicina e iniziò a svolgere la sua attività professionale prima a Catania, poi a Berna”.
Il suo passato di medico in Italia e la conoscenza della lingua fecero del dottor Carlo Zuberg uno dei membri più influenti della delegazione elvetica. “In pratica fu lui a convincere il resto della delegazione a scegliere Formia come sede dell’ospedale”, racconta Capolino, “nonostante lui non fosse mai stato in città. Ma la individuò per la sua centralità e per la semplicità negli spostamenti verso Roma, verso Napoli, verso il Frusinate e verso le isole pontine”, continua Capolino.
La fondazione dell’“ospedaletto baraccato”
Nel 1947 la Delegazione, dopo aver individuato Formia come sede del nuovo ospedale, iniziò i lavori per la sua costruzione. L’“Ospedaletto baraccato” (come fu denominato nei primi documenti della Delegazione) era composto da 16 strutture in legno progettate da tecnici elvetici, così come svizzera era la manovalanza. Dalla relazione dell’allora commissario prefettizio che Aldo Treglia ha trovato nell’archivio storico di Formia si legge che il Governo rossocrociato mise a disposizione “il legno grezzo, occorrente per la costruzione delle baracche, e tutta la attrezzatura ospedaliera necessaria, composta di materiale lettereccio, biancheria, mobili, apparecchi sanitari e di servizio, materiale da gabinetto di analisi, apparecchio raggi X, prodotti farmaceutici, eccetera”.
Il 18 dicembre del 1947 la struttura era pronta per entrare in funzione. Quel giorno Giovanni Venner, delegato della “Organizzazione del Dono Svizzero per le Vittime della guerra”, consegna ufficialmente le chiavi dell’Ospedale al rappresentante del Comune di Formia, come “attestato di solidarietà per i gravi danni subiti dalla guerra e a sollievo della sofferenza di quella popolazione”, come si legge nell’Atto di donazione.
“Gli svizzeri – spiega Raffaele Capolino – non si limitarono a offrire l’infrastruttura e il materiale ma si occuparono anche della sua gestione. All’inizio, e per i primissimi mesi dopo l’apertura dell’ospedale, esso fu gestito da personale medico e infermieristico svizzero”. Tra questi c’era lo stesso Carlo Zuber che, a differenza dei suoi colleghi che man mano ritornavano in patria, decise di restare all’ospedale svizzero di Formia.
Zuber – che non abbandonerà mai più la città – rappresentò per anni il vero anello di congiunzione tra la Svizzera e l’ospedale. Sebbene lo statuto prevedesse che uno dei sette membri del Consiglio d’amministrazione del nosocomio fosse scelto dal Governo svizzero, questo si limitò alle questioni tecniche e organizzative. Il dottor Zuber, invece, fu il “volto” svizzero dell’Ospedale di Formia dove restò fino al pensionamento operando come radiologo.
Restò nell’ospedale di Formia anche quando, nel 1962, il Governo italiano riuscì a dotare la città di un ospedale in muratura che sostituì quello costruito dagli svizzeri. Quello che ancora oggi si trova a pochi metri da dove sorgevano le baracche offerte dal Governo elvetico.
Quando, pochi anni dopo, le autorità locali dovettero scegliere il nome da assegnare al nuovo ospedale cittadino ci furono pochi dubbi. Nonostante l’ospedaletto baraccato fu pian piano smantellato, non si voleva perdere il ricordo della generosità elvetica. Da allora l’ospedale di Formia è per tutti il “Dono Svizzero”.
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