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Un referendum per preservare la democrazia diretta

Per la prima volta in Svizzera un referendum non è lanciato da oppositori a una legge adottata dal parlamento. A farne uso sono dei difensori della democrazia diretta, secondo i quali, l'elettorato deve avere la possibilità di fare chiarezza sull'attuazione dell'iniziativa popolare per introdurre un freno all'immigrazione, che è contraria alla libera circolazione.

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La concretizzazione dell’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” – accettata in votazione popolare il 9 febbraio 2014 – “è il tema più importante di cui si è discusso in Svizzera negli ultimi tre anni” e la legge di applicazione adottata dal parlamento “pone un problema di rispetto della Costituzione e di legittimità delle istituzioni democratiche”: perciò “si deve permettere al popolo di esprimersi”, argomenta Nenad Stojanovic, che il 28 dicembre ha annunciato il referendumCollegamento esterno.

Un annuncio tramite un tweet, che ha provocato un tormentone mediatico e scosso il mondo politico elvetico.

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Nenad Stojanovic infatti non condivide affatto le opinioni dell’Unione democratica di centro (UDC), il partito conservatore di destra che aveva promosso l’iniziativa “contro l’immigrazione di massa” e che in parlamento, lo scorso dicembre, facendo fuoco e fiamme, aveva respinto il testo per la sua applicazione.

La revisione legislativa, che in realtà non concretizza granché dell’articolo costituzionale approvato dal popolo, è stata adottata da una maggioranza parlamentare composta di tutti gli altri partiti, ad eccezione dei popolari democratici, che si sono astenuti. Proprio del più grande partito di quella maggioranza –il partito socialista (PS) – è membro Nenad Stojanovic. Benché oggi il 40enne ricercatore e docenteCollegamento esterno all’università di Lucerna non eserciti più alcun mandato politico, in passato è stato parlamentare comunale a Lugano e cantonale in Ticino e membro della direzione nazionale del partito.

Un referendum plebiscitario?

Considerato che è sempre stato contrario all’iniziativa per frenare l’immigrazione in Svizzera e che in linea di principio è favorevole alle modalità di attuazione decise dal parlamento, la prima domanda che sorge spontanea è se Nenad Stojanovic voglia imitare Matteo Renzi o David Cameron, ossia lanciare un referendum plebiscitario. Ciò sarebbe una novità assoluta per la Svizzera.

Assolutamente no. “L’uso plebiscitario avviene quando il presidente o il primo ministro – comunque il leader politico – decide da solo o con il suo gruppo dirigente di lanciare il referendum. Dunque parte dall’alto. Inoltre, di regola, chi lo fa, è convinto di vincere. Nel mio caso è completamente diverso. Io sono membro di un partito, ma come tanti altri: non sono un eletto. Questo referendum, dunque, parte dal basso. Inoltre l’esito su questo tema rimane molto incerto”, puntualizza il politologo.

Le sue motivazioni sono di ben altra natura. La legge varata dal parlamento “esplicitamente vuole attuare un articolo costituzionale e manifestamente non lo fa”, rileva Stojanovic. L’articolo 121a esige che nella legge siano fissati dei contingenti e dei tetti massimi annuali per il rilascio di permessi di dimora a stranieri che esercitano un’attività lucrativa in Svizzera e il principio di preferenza agli svizzeri: “nessuna di queste tre richieste è stata attuata nella legge”, osserva.

Secondo il politologo, anche se il parlamento ha agito così per non infrangere l’accordo sulla libera circolazione delle persone tra la Svizzera e l’Unione europea – pure avallato dal popolo –, ciò non toglie che non adempie il mandato costituzionale conferitogli dall’elettorato il 9 febbraio 2014. Spetta perciò al popolo decidere se accetta o meno questa legge non conforme all’articolo 121a.

Ci sarà “una reazione popolare di massa”?

Un parere ampiamente condiviso da un gruppetto di cittadini che ha costituito il comitato referendario “No alla violazione della CostituzioneCollegamento esterno“. “È stato scioccante vedere il parlamento andare fino a quel punto. Siamo cinque o sei persone che in due giorni abbiamo spontaneamente deciso di lanciare il referendum”, racconta Jean-Marc Heim, portavoce del comitato per la Svizzera francese.

Nessun membro del comitato è affiliato a un partito. Tutti sono mossi dalla preoccupazione di tutelare la democrazia diretta. Anche per loro conta non cosa i cittadini votino, ma che possano votare su questa legge che non rispetta il mandato popolare, sottolinea Heim.

“Contiamo su una reazione popolare di massa”, dice. È però consapevole che non bastano un sito web, la presenza sui social network e una manciata di persone che va per le strade a raccogliere firme, per mobilitare i cittadini. Perciò il comitato sta cercando sostegno tra organizzazioni e associazioni suscettibili di aderire alla causa e con i mezzi necessari per dare un impulso alla raccolta delle firme.

Referendum di oppositori alla legge

Benché l’UDC non voglia il referendum, tra il suo elettorato vi sono persone che lo reclamano. È soprattutto a costoro, che si rivolge la raccolta di firme sotto la denominazione “Referendum Bürgerbewegung.CHCollegamento esterno” (Movimento cittadino), avviata da Willi Vollenweider, un parlamentare comunale e cantonale di Zugo, ex UDC, ora senza partito. Sempre tra gli oppositori alla legge adottata dal parlamento, diversamente dall’UDC, i Democratici svizzeriCollegamento esterno (piccolo partito della destra patriottica) hanno deciso di promuovere il referendum.


Dal canto suo, Nenad Stojanovic, di fronte alle molteplici richieste di formulari per le firme che ha ricevuto, si dice “moderatamente ottimista”. Attorno al politologo si è creato un comitato che lo sostiene. Un aiuto attivo gli è inoltre giunto dal “BRB – Bürgerrechtsbewegung Schweiz” (Movimento civico Svizzera), che milita per “una Svizzera veramente liberale, sociale, conforme allo Stato di diritto”. Attivo su Facebook, il gruppo conta oltre 700 membri.

Chi ha paura del referendum?

Nessun sostegno per i promotori del referendum verrà dai partiti rappresentati nel parlamento svizzero, che anzi li hanno criticati. Logica l’ostilità delle formazioni politiche che hanno approvato la legge, più stupefacente l’avversione dell’UDC per questo referendum.

I democentristi argomentano che anche se il popolo bocciasse questa legge, non vi sarebbe alcuna garanzia che poi il governo emanerebbe un’ordinanza che applicherebbe alla lettera l’articolo costituzionale. Il partito ha quindi deciso di imboccare un’altra strada: lancerà un’iniziativa popolare per disdire l’accordo bilaterale di libera circolazione con l’UE. Testo e calendario sono ancora da definire.

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Ma se i promotori del referendum non riuscissero a riunire le 50mila firme necessarie entro il 7 aprile, a cosa saranno serviti tanti sforzi? “Sarà comunque un risultato positivo, perché il popolo avrà avuto una vera occasione di firmare. E se neanche l’1% del corpo elettorale vuole firmare il referendum, allora forse significa che è soddisfatto della legge”, ammicca Nenad Stojanovic.

La saga non è ancora finita

Il 9 febbraio 2014 gli svizzeri accettano l’iniziativa popolare “contro l’immigrazione di massa”, con il sì del 50,3% dei votanti e di 17 cantoni su 26.

Il testo prevede che la Svizzera, entro il 9 febbraio 2017, fissi dei tetti massimi per i permessi di dimora e contingenti annuali per tutti gli stranieri, calcolati in funzione dei bisogni dell’economia. Sul mercato del lavoro la preferenza dovrebbe essere data agli svizzeri. I trattati internazionali contrari a queste regole, come l’Accordo di libera circolazione delle persone con l’UE, devono essere rinegoziati. Bruxelles non è però disposta a rinegoziare.

Per non violare l’accordo bilaterale, il parlamento svizzero, dopo lunghissimi dibattiti, nella sessione di dicembre 2016, decide di non applicare alla lettera l’iniziativa: adotta una legge che non introduce né tetti massimi, né contingenti, né preferenza ai lavoratori svizzeri.

Se saranno raccolte almeno 50mila firme di aventi diritto di voto entro il 7 aprile, questa legge dovrà essere sottoposta al voto popolare.La saga del freno all’immigrazione non è in ogni caso finita. Il 27 ottobre 2015 è infatti stata depositata l’iniziativa popolare “Fuori dal vicolo cieco!” – detta anche “RASA”, dall’acronimo tedesco – che chiede l’abrogazione pura e semplice dell’articolo costituzionale approvato il 9 febbraio 2014. A meno che i suoi promotori decidano di ritirarla, dovrà essere sottoposta al voto popolare. Ma i tempi per arrivare alle urne si annunciano lunghi: il governo federale ha infatti deciso di opporle un controprogetto diretto. Il test è ancora in fase di preparazione.

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