“Gli ulivi non si toccano”
In Puglia la costruzione del gasdotto TAP sta provocando la collera degli abitanti del posto, preoccupati per l’espianto degli ulivi e soprattutto per l’impatto ambientale della gigantesca opera. La società, che ha sede in Svizzera, cerca dal canto suo di rassicurare, ma avverte: “Se entro il 2020 non saranno aperti i rubinetti, dovremo rivalerci su chi ha causato i ritardi”.
Scatta il conto alla rovescia in Puglia, dove da poco è iniziato l’espianto dei primi 231 ulivi per fare spazio a TAP (Trans Adriatic Pipeline), il gasdotto che entro il 2020 dovrà portare il gas dell’Azerbaijan all’Europa. Un’opera mastodontica da 45 miliardi di dollari, che dopo aver attraversato Georgia, Turchia, Grecia e Albania dovrà approdare in Italia. E precisamente sulla spiaggia di San Foca, nel cuore del Salento. Terra di masserie e olio extravergine.
Per il tracciato del gasdotto clicca quiCollegamento esterno
Per fare spazio al “tubo”, dovranno essere espiantati complessivamente oltre 2.000 ulivi (che secondo il progetto però saranno ripiantati) e dovrà essere realizzata un’area industriale da 12 ettari per accogliere il gas e decomprimerlo prima dell’immissione nella rete nazionale, da cui poi raggiungerà altri Paesi, tra cui la Svizzera.
Un’idea nata in Svizzera
La Confederazione gioca un ruolo fondamentale in questa partita: l’idea del gasdotto è nata in seno alla società elvetica Axpo più di dieci anni fa, forse anche in virtù dei buoni rapporti che sussistono tra Berna e l’Azerbaijan. Lo stesso operatore energetico rossocrociato figura tra i futuri acquirenti del gas che arriverà in Puglia per mezzo di TAP.
“Gli ulivi non si toccano”, avvertono però gli abitanti del posto che da tempo presidiano le campagne con tanto di tende per dormire, e che nei giorni scorsi hanno occupato le strade di accesso al cantiere, ottenendo lo stop temporaneo dei lavori. Al loro fianco promettono battaglia anche gli amministratori locali, capeggiati dal sindaco di Melendugno, Marco Potì, secondo cui “l’impatto ambientale dell’opera sarà devastante”, non soltanto per la “cicatrice indelebile” causata dallo sradicamento degli alberi, ma anche per “le sostanze inquinanti” che saranno immesse nell’aria dalla futura struttura industriale.
Dal canto suo, la società TAPCollegamento esterno (con sede a Baar, nel canton Zugo), per bocca del portavoce Luigi Quaranta, assicura che ogni ulivo verrà ripiantato nel suo luogo originario. E che l’impatto delle emissioni sarà ridotto (l’equivalente generato dal riscaldamento di circa 90 abitazioni).
Ma Quaranta fa anche sapere che i lavori devono riprendere al più presto, perché se entro il 30 aprile 2017 non verranno espiantati tutti i 230 alberi previsti in questa prima fase, l’intero progetto potrebbe essere a rischio. Con possibili danni finanziari incalcolabili. “Se i rubinetti del gasdotto non verranno aperti entro il 2020, chi ha firmato i contratti potrà rivalersi su di noi, e noi saremo costretti a rivalerci su chi questi ritardi li ha causati, che sia lo Stato italiano o chiunque altro”, avverte Quaranta.
Diversa è la posizione della regione Puglia, che pur non essendo contraria all’arrivo del gasdotto nel proprio territorio, contesta però la scelta del punto d’approdo.
Il governatore, Michele Emiliano, chiede infatti di spostare il tracciato da Melendugno a una zona industriale più a nord. “Il Governo ha imposto quest’opera su una delle spiagge più belle della costa, forzando in maniera talvolta brutale la volontà delle popolazioni residenti”, attacca Michele Emiliano, che a TvSvizzera.it parla anche di “forzature dettate da motivazioni ancora oggi inconfessabili”.
Sullo sfondo della vicenda restano ancora molte ombre. Come l’influenza dell’Azerbaijan sui paesi europei: lo scorso 21 novembre, il Corriere della Sera ha rivelato che la procura di Milano sta indagando su una presunta tangente da 2 milioni e 390 mila euro transitata dall’Azerbaijan all’ex deputato di Como Luca Volonté (Udc).
Secondo gli inquirenti, Volonté, che risulta indagato per corruzione e riciclaggio, si sarebbe mosso per far affossare al Consiglio d’Europa lo scomodo rapporto Strasser sui prigionieri politici in Azerbaijan, che avrebbe potuto intralciare anche gli accordi commerciali tra l’Europa e il paese caucasico.
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