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Gerusalemme capitale, anche Berna condanna

Donna anziana protesta a Gerusalemme Est contro la decisione di Trump di riconoscere la città santa quale capitale israliana
Le dimostrazioni contro la decisione di Trump (nella foto una donna protesta nei pressi della Porta di Damasco a Gerusalemme) non si sono fatte attendere. Keystone

La decisione di Donald Trump di trasferire la sede dell’ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendo di fatto la città santa quale capitale di Israele, ha scatenato un coro quasi unanime di critiche. Il governo svizzero considera il passo “un ostacolo” sulla via di una pace “giusta e sostenibile”.

 In un comunicatoCollegamento esterno diramato giovedì, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ribadisce che il processo di pace in Medio Oriente deve basarsi, conformemente alla risoluzione 478Collegamento esterno del Consiglio di sicurezza dell’ONU, “su un regolamento globale negoziato dello statuto finale di Gerusalemme”, che rispetti “i diritti e le aspirazioni di tutte le parti interessate”.

La Svizzera – sottolinea il DFAE – “considera che il riconoscimento da parte degli USA di Gerusalemme quale capitale dello Stato israeliano rappresenta un ostacolo per una pace giusta e sostenibile tra israeliani e palestinesi”.

Nella nota, il DFAE ricorda ancora che la Confederazione non riconosce l’autorità di Israele al di fuori delle frontiere del 1967 e continuerà a non riconoscerla – anche per Gerusalemme – fintantoché il cambiamento di confini non si baserà su un accordo negoziato tra le parti.

Una miccia difficile da spegnere

Una posizione che ricalca quella espressa anche dal segretario generale dell’ONU Antonio Guterres, secondo il quale lo statuto di Gerusalemme deve essere deciso dopo un negoziato tra le parti. “Dal primo giorno del mio insediamento, ha inoltre sottolineato, ho detto che sarei stato contrario a ogni azione unilaterale che potesse inficiare il processo di pace”.

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Con la sua decisione, Donald Trump ha acceso una miccia che sarà difficile da spegnere, gettando nel contempo nell’imbarazzo i suoi principali alleati nella regione. L’Egitto, la Giordania e l’Arabia Saudita dovranno fare i conti con un’opinione pubblica ostile a Israele e all’unilateralismo di Washington.

A parte condanne di facciate, è però improbabile che mettano a repentaglio la loro alleanza con gli USA. “La decisione di Trump è imbarazzante per i regimi alleati di Washington”, ma “è poco probabile che vadano più in là nella loro opposizione alla posizione americana”, ha dichiarato all’Agence France Presse Oraib Al Rantawi, direttore del centro al-Quds per gli studi politici di Ammann.

Una nuova Intifada?

Intanto, nella regione la tensione è alle stelle. Hamas ha lanciato un appello alla rivolta. “Possiamo far fronte alla politica sionista sostenuta dagli Stati Uniti solo lanciando una nuova intifada”, ha dichiarato il capo di Hamas, Ismail Haniyeh.

Diversi altri gruppi palestinesi hanno incitato a proclamare uno sciopero generali nei Territori e a Gerusalemme Est. Molti negozi e diverse scuole sono rimasti chiusi e scontri sono stati segnalati in numerose località.

L’esercito israeliano ha dal canto suo annunciato di avere dispiegato dei battaglioni supplementari in Cisgiordania.

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