I talebani tra rassicurazioni e minacce
Mentre molti afghani tentano disperatamente di lasciare il Paese, i nuovi padroni di Kabul cercano di rassicurare. Ma non mancano minacce più o meno velate.
La situazione all’aeroporto di Kabul, invaso da migliaia di persone, è diventata talmente difficile che tutti i voli, civili e militari, hanno dovuto essere sospesi lunedì pomeriggio, ha annunciato il Pentagono.
Video diffusi sulle reti sociali mostrano scene di disperazione totale, con centinaia di persone che corrono di fianco a un aereo da trasporto militare americano in fase di decollo e alcune che tentano di aggrapparsi ai carrelli.
La situazione nella capitale invece era relativamente calma, stando a quanto riporta l’Agence France Presse. Talebani armati pattugliano le strade e installano dei posti di controllo.
Il mullah Abdul Ghani Baradar, cofondatore del movimento islamista, ha chiesto alle sue truppe di dar prova di disciplina: “Adesso dobbiamo mostrare che possiamo servire la nostra nazione e garantire la sicurezza e il benessere per tutti”, ha affermato.
Baradar sostiene anche di aver domandato ai suoi uomini di rispettare l’onore dei cittadini e di non entrare nelle loro case. Da altre città però arrivano notizie molto diverse, con miliziani che perquisiscono le abitazioni in cerca di armi, esecuzioni sommarie e adolescenti prelevate per essere date in spose ai combattenti.
In questa intervista alla Radiotelevisione Svizzera, il governatore talebano della provincia di Lowgar, Haji Ahmad Ali Jan, spiega perché i talebani sono entrati a Kabul dopo che in un primo tempo avevano ricevuto l’ordine di restare nella periferia.
“Vogliamo la pace come tutti gli afghani e siamo gli unici a poterla imporre, così come l’instaurazione di uno Stato islamico”, prosegue Ali Jan.
E poi, con toni un po’ meno concilianti, continua: “La gente che prova a fuggire all’aeroporto, non rispetta né la cultura né i valori afghani. Lasciano a casa donne e bambini per andare verso le false promesse fatte loro dagli stranieri. Dovrebbero stare qui, in un Paese islamico. Nessuno farà loro del male”.
Sul fronte diplomatico, intanto, la Cina è stato il primo Paese a indicare lunedì di volere “relazioni amichevoli” con i talebani, mentre il ministero degli esteri russo ha rilevato che “la situazione in Afghanistan e soprattutto a Kabul si sta stabilizzando; i talebani stanno ripristinando la legge e l’ordine”.
Di tutt’altro tenore le reazioni giunte da molte capitali occidentali. Londra, per bocca del ministro della difesa Ben Wallace, ha detto che questo “non è il momento” di riconoscere il regime talebano e ha definito il ritorno al potere del movimento islamista “un fallimento della comunità internazionale”.
Il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha dichiarato da parte sua che “la comunità internazionale deve unirsi per assicurarsi che l’Afghanistan non sia mai più usato come porto sicuro per le organizzazioni terroristiche”.
A Washington vi è intanto grande attesa per il discorso di Joe Biden che dopo quasi 48 ore di silenzio parlerà della situazione in Afghanistan.
La Svizzera, dal canto suo, si è detta preoccupata per la situazione in Afghanistan e secondo la tradizionale formula diplomatica ha sollecitato “tutte le parti coinvolte a rispettare il diritto internazionale umanitario e i diritti umani”, garantendo in particolare “i diritti delle minoranza e delle donne e ragazze”.
Il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha inoltre chiesto che chi vuole lasciare il Paese possa farlo rapidamente e senza ostacoli.
La Svizzera è riuscita a evacuare gli ultimi tre membri dell’Ufficio di cooperazione della Direzione dello sviluppo e della cooperazione che si trovavano a Kabul. Per contro i 38 membri del personale locale dell’Ufficio e le loro famiglie non hanno ancora potuto lasciare il Paese. “Il DFAE – si legge in una nota – sta lavorando alacremente […] per individuare soluzioni per il personale locale e i loro famigliari più stretti. Le circa 230 persone riceveranno un visto umanitario per la Svizzera”.
Per quanto concerne la questione dei rifugiati in generale, il ministro degli esteri Ignazio Cassis ha dichiarato che il Governo “valuta di ora in ora” se accettarne di più.
“Siamo in grado di prendere rapidamente decisioni come l’ammissione dei rifugiati. Ma la Svizzera dipende anche dalla cooperazione di altri Stati e da sola non può fare molto”, ha aggiunto Cassis.
Il consigliere federale ha poi precisato che attualmente non ci sono discussioni in corso con i talebani. “Non possiamo parlare con i talebani perché non sono un governo. Tuttavia, organizzazioni come la Croce Rossa internazionale potrebbero farlo, ad esempio per organizzare gli aiuti umanitari”.
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