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Il cancro diventerà la prima causa di morte nonostante i progressi

L'oncologo locarnese Franco Cavalli.
Prestigioso premio per l'oncologo locarnese Franco Cavalli. KEYSTONE/© KEYSTONE / JEAN-CHRISTOPHE BOTT

Intervista all'oncologo ticinese Franco Cavalli, di ritorno dalla California dove gli è stato consegnato un riconoscimento alla carriera dall'American Association for Cancer Research (AACR).

Domenica scorsa il noto oncologo Franco Cavalli ha ricevuto a San Diego (California) il prestigioso “Award for Lifetime Achievement” assegnatogli dall’American Association for Cancer Research (AACR)Collegamento esterno.

Un riconoscimento che oltre a gratificare lo scienziato ticinese, fondatore di importanti istituti clinici e di ricerca – tra cui l’Istituto oncologico della Svizzera Italiana (IOSI), l’istituto oncologico di ricerca (IOR), da cui è poi nato il Bellinzona Institutes of Science (BOIS+) – oltre ad aver organizzato nell’ormai lontano 1981 il primo Congresso internazionale sui linfomi maligni a Lugano e aver presieduto la Scuola Europea di Oncologia (ESO) creata da Umberto Veronesi.

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Proprio dall’amicizia con il collega scomparso sono nati negli anni progetti e collaborazioni tra Ticino e Lombardia, sfociate nell’organizzazione di eventi internazionali e di innovative strutture sanitarie (la seconda sede della Scuola Europea di Oncologia, dopo Milano, è stata istituita a Bellinzona).

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La vicinanza di Milano e la posizione strategica del cantone italofono lungo la direttrice che collega la metropoli ambrosiana a Zurigo hanno indubbiamente contribuito alla creazione di sinergie e allo sviluppo della ricerca a sud delle Alpi, come ci ha detto lo stesso Franco Cavalli, che abbiamo incontrato di ritorno dagli Stati Uniti.

tvsvizzera.it: Che significato riveste il premio dell’American Association for Cancer per lei, ma anche per la ricerca nella Svizzera italiana?

Franco Cavalli: Ho ricevuto una ventina di premi e distinzioni nella mia carriera ma devo dire che questo è quello che mi ha fatto più piacere. In primo luogo perché l’American Association for Cancer Research (AACR) è la principale organizzazione in questo ambito negli Stati Uniti e a livello mondiale. La commissione che valuta le varie proposte è nota per i criteri severi di selezione e in questo senso è molto gratificante aver ottenuto il suo ‘”Award for Lifetime Achievement”.

Ma è in effetti un riconoscimento importante anche per la Svizzera Italiana: nei due minuti di laudatio e nello stesso comunicatoCollegamento esterno dell’AACR, vengono infatti sottolineate diverse iniziative prese nella regione: la creazione dell’Istituto oncologico della Svizzera italiana (IOSI) e dell’Istituto oncologico di ricerca (IOR) a Bellinzona, della Conferenza internazionale sui linfomi maligni a Lugano e, certamente non da ultimo, il Gruppo di studi clinici sui linfomi extranodali (IELSG) creato nel 1996 in Ticino, che coordina le ricerche a livello mondiale e ha messo a punto una terapia standard per buona parte di questi linfomi.

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Un’evoluzione impensabile anche solo 20-30 anni fa quando in Ticino – dove peraltro oggi non mi sembra che esistano grandi progetti – non c’era niente di analogo e venivamo guardati oltr’Alpe con una certa diffidenza. La sua valenza va quindi al di là dell’apporto di una singola persona.

A che punto siamo nella lotta plurisecolare contro il cancro?

È una domanda cui non si può rispondere in maniera univoca. Il cancro non è una malattia unica, ce ne sono più di 200 tipi e ogni situazione è diversa dall’altra. Cinquant’anni fa il tumore ai testicoli, che colpiva soprattutto i più giovani, era letale mentre oggi guariscono praticamente tutti.

Per il cancro al cervello invece la situazione non è molto cambiata in questo lasso di tempo. Semplificando, si può dire che nei Paesi ricchi la mortalità del cancro non aumenta più molto, se non in funzione della continua estensione dell’aspettativa di vita. Lo si vede chiaramente soprattutto in alcune tipologie. I tumori ai polmoni, al collo dell’utero o allo stomaco, ad esempio, sono in diminuzione del mondo occidentale.

Detto questo, le malattie cardiovascolari stanno regredendo in maniera più accentuata, colpiscono oggi la metà delle persone rispetto alcuni decenni fa, e per questo motivo, a breve, il cancro diventerà la prima causa di mortalità tra le varie patologie.

Si può rilevare una valenza di tipo geografico nello sviluppo di questo tipo di malattia?

A livello mondiale osserviamo che il fenomeno ha conosciuto un’evoluzione peculiare nelle nostra società. Fumiamo meno, mangiamo meglio e in generale siamo meno esposti a fattori di rischio rispetto a cinquant’anni fa. Nei Paesi con indice di sviluppo umano relativamente basso invece si prevede che dal 2020 al 2040 la mortalità per cause oncologiche aumenterà del 100%, a fronte di un incremento nel mondo occidentale contenuto entro il 15%.

Poi ci sono particolarità di tipo culturale e sociale. Nei paesi islamici, ad esempio, si constata una percentuale inferiore di cancro all’esofago, in ragione del fatto che non consumano alcolici. Mentre in India vi è una quota importante di patologie alla bocca e al cavo orale per l’abitudine diffusa di masticare tabacco.

Anche le condizioni sociali, come ha già avuto modo di segnalare, sembrano avere un’influenza sull’insorgenza e l’evoluzione dei tumori.

Sicuramente il tenore di vita e la capacità finanziaria hanno un influsso determinante nell’azione di contrasto della malattia. Basti pensare che nei Paesi più poveri solo l’1-2% della popolazione ha accesso alle terapie oncologiche, i cui costi sono in costante crescita. La questione delle risorse individuali ha comunque un impatto crescente anche in Occidente.

I farmaci che vengono impiegati nella cura dei tumori sono estremamente costosi – spesso per ragioni difficilmente comprensibili e poco giustificabili – ed è la voce della spesa sanitaria che aumenta maggiormente. Parliamo di costi dell’ordine di 100’000-120’000 franchi all’anno per paziente. In Svizzera, inoltre, la loro somministrazione è regolamentata da un processo di autorizzazione piuttosto lungo che passa prima da Swissmedic (l’agenzia di omologazione dei medicamenti, ndr.) e poi dalle casse malati.

Ma per chi ha un’assicurazione sanitaria complementare (integrativa) i tempi si riducono drasticamente e può ottenere prima i nuovi farmaci messi a disposizione dalle case farmaceutiche. In proposito c’è un illuminate studio condotto dal registro dei tumori di Ginevra secondo il quale nella ricca Svizzera il 10% delle persone affette da cancro alla prostata più benestanti hanno un’aspettativa di vita doppia rispetto al 10% della popolazione maschile più indigente.

Dalla sua amicizia con Umberto Veronesi sono nate in passato diverse cooperazioni, in particolare nella Scuola europea di oncologia e nell’organizzazione di congressi internazionali. Oggi quali sono le sinergie con enti di ricerca italiani?

Con l’Italia abbiamo tuttora in corso numerose collaborazioni: in particolare, come Istituto oncologico di ricerca, affiliato all’Università della Svizzera italiana, abbiamo accordi specifici con l’Istituto Mario Negri di Milano, con l’Istituto clinico Humanitas di Rozzano (Milano) e l’Università di Padova. Abbiamo poi relazioni molto intense anche con altri istituti dell’Italia del Nord, con scambi di collaboratori e collaboratrici tra le reciproche sedi.

Naturalmente abbiamo ottimi rapporti anche con il resto della Svizzera, in particolare con i due Politecnici federali di Zurigo e Losanna ma è un dato di fatto che se l’Istituto oncologico di ricerca (IOR) di Bellinzona, e lo stesso Istituto di ricerca in biomedicina (IRB) di Bellinzona – creati all’inizio degli anni 2000 – hanno potuto in vent’anni diventare centri di ricerca di qualità riconosciuti internazionalmente, lo si deve indubbiamente anche alla vicinanza dell’Italia, in particolare riguardo alla composizione degli organici.

Lei ha sempre avuto un interesse affettivo e ha coltivato collaborazioni pluriennali con attori e attrici del sistema sanitario cubano. Come è la situazione attuale?

Mi sono fermato sull’isola proprio prima di recarmi a ricevere il premio a San Diego. Cuba era un modello per il suo sistema sanitario e per le tecniche di prevenzione e di diagnosi precoce, soprattutto per alcune patologie di tumori, come quelli al seno e al collo dell’utero.

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Con lo scoppio della pandemia e la crisi economica, in aggiunta alle pressioni statunitensi, devo dire che ho visto la situazione peggiorata rispetto anche solo a dieci anni fa.

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