Il fenomeno è cresciuto con la pandemia, ma si sta riassorbendo.
Keystone / Mourad Balti Touati
Dopo un aumento nel corso della pandemia, le teorie complottiste che circolano tra la popolazione elvetica sono in calo.
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tvsvizzera.it/mrj
Il numero di persone in Svizzera che credono ai complotti e che si lasciano influenzare da ideologie anti-sistema è in netto calo. Dopo una forte diffusione del fenomeno al culmine della pandemia – i social media hanno contribuito a diffonderlo su larga scala – la sua attrattiva sembra scemare con la fine delle misure contro la diffusione del Covid-19. Ad affermarlo è uno studio della Scuola universitaria di Zurigo: le persone vicine ai movimenti che nutrono dubbi e rancori contro la politica raggiungeva l’anno scorso il 36% della popolazione. Una percentuale che ora è scesa al 28%.
Una percentuale che comunque è alta, secondo gli esperti: “È una cifra alta che fa impressione, ma è legata alle sfide della società moderna: siamo confrontati a cambiamenti costanti, che provocano paure e insicurezze. Trovare rifugio in risposte semplici è un riflesso naturale di molti. E il complottismo offe appunto questo tipo di risposte, che sembrano avere una loro logica compiuta”, spiega il professore di prevenzione della criminalità presso l’Università di scienze applicate di Zurigo (ZHAW) Dirk Baier.
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Dallo studio è anche emerso che a nord delle Alpi (28%) ci sono meno scettici rispetto al sud (33%). A Influenzare questi dati è il fattore socioeconomico secondo Baier: “Dobbiamo ritornare ai fattori che portano a credere a teorie alternative. Un elemento centrale è l’insicurezza economica, la paura di perdita di status sociale che in Ticino è probabilmente più diffusa rispetto al resto del Paese, visto anche il divario economico”.
La società, insomma, deve convivere anche con questa fascia della popolazione che, secondo l’esperto, è importante non venga esclusa dal dibattito e venga presa sul serio nelle sue apprensioni.
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