Il monito del Watergate, mezzo secolo dopo
Lo scandalo che scoppiò nel 1972 e portò alle dimissioni del presidente USA Richard Nixon, raccontato dall'ex consigliere della Casa Bianca John Dean.
La porta scassinata del parcheggio sotterraneo del Watergate Hotel è finita in un magazzino alla periferia di Washington dopo essere stata a lungo esposta in un museo della capitale. Bob Woodward e Carl Bernstein, i cronisti che svelarono il legame con la Casa Bianca e le intenzioni dell’allora presidente Richard Nixon, sono da tempo anche grazie a Hollywood nell’olimpo, emblemi del giornalismo “cane da guardia” del potere. John Dean – allora consigliere del Presidente – oscilla invece tra il ruolo del cattivo e quello dell’eroe. “Ero in una posizione davvero unica, confida al Telegiornale, vedevo i miei colleghi fare sciocchezza. Ho cercato di impedirglielo. Ho fatto anch’io sciocchezza… finché non mi si è accesa la lampadina”.
John Dean oggi ha 83 anni. Era un giovane rampante, neolaureato in Legge, quando arrivò alla Casa Bianca. Era tra i consiglieri di Nixon quando, dopo l’irruzione negli uffici del partito democratico il 17 giugno 1972, gli fu chiesto di insabbiare lo scandalo. “Suggerii di affidare gli scassinatori a degli avvocati, ma mi fu detto “No, no, diamo loro del denaro per assicurarci il loro silenzio””, racconta. Quasi un anno dopo, però, durante le udienze pubbliche del Senato divenne il principale accusatore di Nixon, rivelandone i piani e le attività illegali. “Mi sono rifiutato di essere il capro espiatorio. Volevano soltanto un ulteriore insabbiamento e non avevo intenzione di fargliela passare liscia”.
“Quello che emerse, spiega John Dean, non era solo un tentativo di ottenere dei vantaggi in una campagna elettorale. La Casa Bianca stava abusando dei suoi poteri presidenziali. Il fulcro dello scandalo “Watergate” è un ampio abuso di potere”.
Come si comportava la stampa? “All’inizio nessuno pensava Nixon potesse essere nei guai. All’opinione pubblica americana, in un anno di elezioni, non importava nulla di tutto questo. Solo il Washington Post parlava di quell’irruzione e nel novembre successivo Nixon avrebbe vinto alla grande la rielezione”.
E come cambiò l’atteggiamento dei media? “Prima del Watergate si presumeva che i presidenti facessero sempre la cosa giusta. Si dava loro il beneficio del dubbio. Dopo il Watergate, l’esatto contrario… si teme sempre stiano facendo la cosa sbagliata finché non dimostrano di avere ragione.”.
E l’opinione pubblica? Si può dire che fu l’inizio della crisi di fiducia tra l’elettorato e il Governo di Washington così evidente oggi? “La crisi di fiducia iniziò con il Vietnam e fu accresciuta con le rivelazioni su quel conflitto e poi con lo scandalo del Watergate, ma da allora vi fu pure una crescente polarizzazione e devo dire che Richard Nixon ha molte responsabilità in questo, non avendo paura di dividere, indicando i “nemici” e cavalcando temi divisivi per avere dei vantaggi politici”.
A Washington sono in corso le udienze pubbliche della Commissione d’inchiesta parlamentare sull’assalto al Congresso del 6 gennaio 2020 a più riprese paragonate con quelle del Watergate nel 1973. “Ricordo bene, ammette Dean, che durante il Watergate nessuno sembrava reagire. Neppure dopo le udienze. Nessuno pensava che Nixon dovesse dimettersi a causa di ciò che io stesso stavo testimoniando. Sembra che in un sistema democratico queste cose ci mettano molto tempo a sedimentare e a diventare importanti”. Pare un monito per la lettura di quanto sta emergendo riguardo a Trump e l’insurrezione al Campidoglio. “Il Watergate, sottolinea, era un abuso di potere per alterare le elezioni. La differenza con il 6 gennaio per me è enorme; è la sessa che c’è tra imbrogliare una democrazia e distruggere la democrazia”.
E quale la differenza tra Nixon e Trump? “Sono entrambe persone autoritarie, replica Dean, ma credo che ultimamente Nixon avesse una coscienza. Sapeva cosa si poteva fare o no. Tanto che si dimise. Trump non credo abbia una coscienza… non avrebbe mai consegnato i nastri, avrebbe sfidato lo stato di diritto”.
’ex consigliere di Nixon ammette di essere rimasto sorpreso della grazia concessa da Gerald Ford al suo predecessore: “all’epoca la capii, ma credo che a lungo andare abbia indebolito la Presidenza. Se il Presidente è al di sopra della legge, è qualcuno che dovrebbe avere una grazia, allora se commette un errore, intenzionale o meno, allora la nostra democrazia e i controlli dello stato di diritto non ci sono più”.
In questi giorni Dean è assediato dai media. È uno dei pochissimi testimoni di quegli anni ancora in vita. CNN ha appena mandato in onda un documentario su di lui e la recente serie televisiva “Gaslit” l’ha reso noto al pubblico più giovane. Lui ammette di vivere da cinquant’anni in una “bubble” (“bolla”), ma al momento dei saluti chiosa: “la grande lezione è che la democrazia richiede vigilanza. E non si può dare per scontato che ogni persona faccia la cosa giusta se ha a disposizione tutto. I controlli e gli equilibri istituzionali devono funzionare. E con lo scandalo Watergate siamo stati fortunati”.
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