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Il progetto siculo-svizzero per la ricostruzione del Borgo di Dio di Danilo Dolci

Danilo Dolci nel 1965
"Lui era convinto che la verità delle cose fosse dentro le persone": così la figlia di Danilo Dolci a proposito del padre. Ap / Alessandro Fucarini

La figlia di Danilo Dolci, Daniela, da Basilea guida un comitato internazionale che si è posto l’obiettivo di ricostruire quello che fu il Borgo di Dio: il centro di studi internazionale dove il poeta ed educatore siciliano ha posto le basi per la resistenza non violenta alle ingiustizie dello Stato e della mafia. 

L’appuntamento con Daniela Dolci è a Palermo. Da lì ci muoveremo verso Trappeto, poco meno di un’ora d’auto dal capoluogo siciliano. “Quando ero piccola, con mio padre e la mia famiglia abbiamo fatto questa strada tante volte per assistere tutti insieme a qualche concerto. A casa i soldi spesso mancavano, ma per la cultura li hanno sempre trovati”. Sarà per questo che Daniela nella vita è diventata musicista e direttrice d’orchestra. Figlia di Danilo Dolci – poeta, educatore e attivista politico nella Sicilia del Dopoguerra – Daniela Dolci vive a Basilea, in Svizzera, da 47 anni. Nel 2021, però, ha deciso di mettere in pausa i suoi impegni lavorativi e dedicarsi a tempo pieno alla gestione del Borgo di Dio di Trappeto, una delle creazioni del padre Danilo. Oggi fa la spola tra Basilea e la Sicilia.

Cosa resta del Borgo di Dio

Il Borgo di Dio si trova su un altopiano a breve distanza dal centro abitato di Trappeto. In auto percorriamo un viale alberato fin quando non si scorge la costruzione in cemento. Da lì la vista sul mare è straordinaria. Meno bella è la vista di ciò che resta del Borgo. “Come vedi le condizioni non sono ottimali”, spiega Daniela Dolci guidandoci in un tour tra i luoghi dove lei è cresciuta con la famiglia. Alcuni dei locali (la mensa e gli alloggi) sono in condizioni discrete grazie a una ristrutturazione avvenuta nel 2014 con un finanziamento da parte della associazione “Con il Sud”. Altri locali (alcune delle aule e l’enorme sala-teatro) cadono letteralmente a pezzi.

Al nostro arrivo al Borgo ci sono dei ragazzini e delle ragazzine del posto. Con loro c’è la sorella di Daniela, Libera. Lei vive ancora qui e da quando, nel 2014, è stato possibile riattivare una parte di quello che fu il Borgo di Dio, si è impegnata per offrire attività ludico-culturali alle bambine e ai bambini di Trappeto. Le stesse e gli stessi che negli anni della chiusura del Borgo avevano forzato gli ingressi e devastato quello che rimaneva in piedi. “Per noia. Perché qui non c’è mai niente da fare”, avrebbe confessato uno di loro qualche tempo dopo.

Ma il Borgo, fino agli anni Ottanta, era qualcosa di ben diverso. A raccontarcelo è Amico, un altro dei fratelli di Daniela. Anche lui musicista (evidentemente le trasferte famigliari a Palermo organizzate da papà Danilo e mamma Vincenzina hanno lasciato il segno), oggi è il continuatore dell’attività del padre.

“Questo era un centro studi internazionale. Qui studiosi provenienti da università di diverse parti d’Europa venivano a studiare questi luoghi e le persone che li vivevano dai punti di vista più disparati: agronomi, economisti, geografi umani. Ogni settimana arrivava un gruppo nuovo, con idee nuove e nuove prospettive”, racconta Amico Dolci.

Ma accanto alla formazione accademica, tra queste mura ormai diroccate si faceva anche cultura popolare. Il tutto grazie a un’intuizione di Danilo: l’applicazione del metodo di Socrate alla vita degli abitanti di Trappeto.

Danilo Dolci nacque nel 1924 a Sesana (oggi territorio sloveno). Il padre Enrico, ferroviere e capostazione, viaggiava spesso per lavoro e altrettanto spesso veniva trasferito in lungo e in largo per lo Stivale. Nel 1942 fu chiamato a Trappeto. Danilo, cresciuto in Lombardia, andrà spesso in visita dal padre sull’isola. “In futuro – spiega Amico Dolci – ricorderà che quello fu il posto in cui vide la miseria più grande”. 

Finita la guerra, in un’Italia da ricostruire Danilo decise di iscriversi ad Architettura. “Presto, però, si rese conto che nel suo lavoro sarebbe finito a progettare case solo per chi poteva permetterselo. Ma il suo interesse era altrove. Per questo motivo, a pochi esami dalla fine del suo percorso di studi, mio padre lasciò l’università e decise di trasferirsi a Nomadelfia”, spiega Amico.

Nomadelfia è una frazione di Grosseto dove Don Zeno Saltini aveva costituito una comunità di cattolici e cattoliche praticanti. Una comunità incentrata sull’aiuto reciproco in ogni sua forma. “Quell’esperienza fu fondamentale perché diede le basi a mio padre, che non era né sociologo né pedagogo, per il suo lavoro a Trappeto”.

Nel 1951 la comunità di Nomadelfia si scioglie. Il giovane Danilo, dovendo decidere cosa fare della propria vita, ripensa a Trappeto. “Decide di trasferirsi qui nel gennaio del 1952 per costruire una comunità simile a quella in cui aveva vissuto a Grosseto. Ma basata in un contesto di estrema miseria. Dove mancava tutto”.

Nascono in questo modo le fondamenta del Borgo di Dio. Perché questo nome? “In effetti io stesso glielo chiesi, considerando che lui non era poi così vicino alla Chiesa e alla religione. Mi rispose che decise di chiamarlo in questo modo perché ritenne che era necessario farsi capire dalle persone a cui si rivolgeva, persone che non leggevano giornali, semianalfabete e che spesso conoscevano solo il valore della religione”.

Qui Danilo riuscì a riunire intorno a sé uomini e donne di Trappeto ma anche intellettuali provenienti da tutta la Sicilia e poi dal resto d’Italia. Accanto all’attività educativa qui iniziò a praticare la lotta non violenta per chiedere alle istituzioni di attivarsi per porre rimedio alle numerose problematiche di un territorio e di una popolazione che non aveva soldi, né cibo e spesso neanche l’acqua.

In questi anni iniziò a essere conosciuto in patria e all’estero con l’epiteto di “Gandhi siciliano”.

Celebri sono i suoi scioperi della fame o lo “sciopero alla rovescia” del 1956 di Partinico. L’idea alla base era che se un operaio o un’operaia per scioperare si astiene dal lavoro, un disoccupato o una disoccupata come forma di protesta contro la propria condizione deve astenersi dal non-lavoro. E così centinaia di disoccupati e disoccupate capeggiati da Danilo Dolci cominciarono a lavorare per rimettere in sesto una strada abbandonata. Una protesta che fu fermata dalla polizia.

Lo stesso accade durante un’altra celebre protesta: lo sciopero della fame collettivo di qualche mese prima. Migliaia di persone che semplicemente si rifiutavano di mangiare. Quello sciopero fu fermato dalle forze dell’ordine e dalle istituzioni con una motivazione alquanto singolare: “Il digiuno pubblico è illegale”.

 Quelli degli scioperi della fame furono gli anni in cui Danilo Dolci e le migliaia di persone che lo sostenevano riuscirono nell’impresa di portare l’acqua potabile e corrente lì dove non c’era mai stata grazie alla costruzione di una diga sul fiume Jato. Una impresa non da poco nella Sicilia dell’epoca.

Il metodo maieutico

A partire dagli anni Settanta, il lavoro di Danilo Dolci si incentra soprattutto sull’aspetto educativo. “Lui era convinto che la verità delle cose fosse dentro le persone. Questa intuizione, unita al suo bisogno di capire, lo spinse a fare una cosa molto semplice: a fare domande. Le domande sono state a poco a poco, quasi inconsapevolmente, il motore che ha poi indicato la direzione verso cui cercare le soluzioni”, spiega Amico.

In un primo momento questo approccio fu chiamato “auto-analisi popolare”. Spesso i temi erano le necessità del territorio. Qualche volta ci si spingeva a trattare questioni culturali. “Chiedere il contributo intellettuale a gente a cui nessuno aveva mai dato considerazione e dare loro la possibilità di esprimersi ha fatto fiorire una infinità di idee e progetti”, spiega Amico.

Poi, dall’auto-analisi popolare, Danilo Dolci cominciò a creare i primi laboratori maieutici a cui partecipava un numero limitato di persone per volta e con l’obiettivo di trovare soluzioni ai problemi del territorio e delle persone.

Tra cultura “alta” e cultura “popolare”, le attività al Borgo di Dio erano numerose. Le idee non mancavano di certo. Ciò che mancava spesso erano i soldi. “Mio padre non ha mai accettato una lira dallo stato”, spiega Daniela. Le attività del Borgo erano finanziate in parte dalle quote di iscrizione alle attività del “Centro Studi e iniziative” e in parte dai numerosi comitati che si erano creati in tutto il mondo a sostegno dell’attività di Dolci.

Altri sviluppi

Uno dei comitati più attivi fu quello svizzero, il “Verein zur Förderung des Werkes von Danilo Dolci – CH”, creato nel 1962 e chiuso nel 2012, 15 anni dopo la morte di Danilo.

Nonostante gli aiuti provenienti da diverse parti del mondo, i conti del Borgo di Dio erano sempre in rosso. Tanto da spingere, nel 1985, Dolci e i suoi collaboratori e le sue collaboratrici a scegliere di vendere i locali del Borgo di Trappeto. Poi una serie di avvenimenti burocratici e personali hanno fatto sì che la vendita vera e propria non sia mai avvenuta. Così, per diversi decenni, il Borgo è stato chiuso e inutilizzato.

Nel 2014 fu possibile riaprire una parte dei luoghi, ma affinché le attività possano riprendere a svolgersi come un tempo sarebbe necessaria una ristrutturazione totale e l’impegno a tempo pieno di qualcuno che se ne occupi. Nel 2021 Daniela ha deciso di essere quel “qualcuno”.

Il progetto italo-svizzero di ricostruzione del Borgo

“Il primo, fondamentale passo è stato la ricostituzione di un comitato o di una associazione in Svizzera. Un passo più complesso di quanto pensassi, ma necessario all’organizzazione di una serie di manifestazioni con le quali intendo portare la storia e le attività del Borgo di Dio all’attenzione dei tanti mecenati che negli anni si sono interessati alle mie ricerche nell’ambito della musica barocca”, racconta la musicista.

Il progetto di Daniela è articolato e vede da una parte la ristrutturazione del Borgo e il riavvio delle attività educative, dall’altra una serie di attività in Svizzera. Si legge nel documento di presentazione del progetto: “Dopo la riapertura al pubblico del ‘Borgo di Trappeto’ in Sicilia, programmata – al completamento dei necessari lavori di ristrutturazione – per il 2024, è prevista una collaborazione con la Svizzera a diversi livelli e in diversi ambiti: progetti educativi innovativi con le classi delle scuole svizzere per sviluppare il concetto di comunicazione non violenta; laboratori per bambini e giovani, adatti alle diverse fasce d’età, sui temi dell’integrazione e della pace; scambi tra giovani svizzeri e siciliani, finalizzati allo studio e alla comprensione delle nefaste ricadute in ambito economico e sociale della mafia e di altre forme di criminalità organizzata, presenti ormai con ramificazioni anche internazionali; viaggi di studio per seminari di università svizzere e scuole universitarie professionali; cooperazione con l’Istituto svizzero per la pace Swisspeace (Università di Basilea) su temi quali la gestione non violenta dei conflitti e la ricerca sulla e per la pace; archiviazione e messa a disposizione digitale di tutti i documenti relativi all’attività pluriennale dell’Associazione Förderung des Werkes von Danilo Dolci – CH per la pace e altri lavori di ricerca”.

“Sono partita nel 2021 con un sentimento di serenità e fiducia nel portare avanti un progetto, sì, ambizioso, ma complessivamente fattibile. Dal 2021 ad oggi sono però successe delle cose che hanno giustamente spostato l’attenzione altrove: la guerra in Ucraina e il terremoto in Turchia e Siria, ad esempio. Il crollo di Credit Suisse è stato un evento traumatico che ha reso difficile l’attività di raccolta fondi”, confida Daniela. “Resto però fiduciosa perché, a maggior ragione, in questa situazione politica e internazionale così complicata le idee di resistenza non violenta di mio padre devono trovare un nuovo slancio. Insomma, è tutto più complesso, ma penso proprio che ci riuscirò”.  

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