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In Svizzera una tonnellata di CO2 costa più di 100 dollari

fumo che esce da un camino su un tetto
La taxe suisse sur le CO2 s'applique aux combustibles fossiles. Keystone

L'Unione europea introdurrà una tassa sul carbonio alle sue frontiere. Pioniera in materia, la Svizzera è tra i Paesi con la tassa sul CO2 più alta al mondo. Spiegazioni.

Applicare un dazio alle importazioni dai Paesi con bassi standard climatici e ambientali al fine di proteggere le imprese europee da una concorrenza giudicata sleale: è l’obiettivo della tassa sul CO2 alle frontiere dell’UE che la Commissione europea presenterà ufficialmente il 14 luglio.

La tassa sul CO2, tra i principali strumenti del Patto verde europeo, dovrebbe inizialmente coprire i prodotti importati provenienti da settori che generano molte emissioni, ad esempio l’elettricità, il cemento o l’acciaio.

“Bisogna pareggiare il prezzo del carbonio tra la produzione domestica e le importazioni” per evitare la delocalizzazione verso nazioni in cui il carbonio ha un prezzo più basso rispetto a quello nell’UE, ha spiegato alla Radiotelevisione svizzera di lingua francese RTSCollegamento esterno Pascal Lamy, ex direttore dell’Organizzazione mondiale del commercio, tra i promotori della nuova tassa europea.

“Si tratta di una misura sensata e necessaria”, commenta a SWI swissinfo.ch Philippe Thalmann, professore di economia ambientale al Politecnico federale di Losanna. La tassa alle frontiere, spiega, impedirebbe che venga aggirato il sistema europeo, dove le aziende devono pagare un prezzo sul CO2.

Istituito nel 2005, il Sistema di scambio di quote di emissione di gas serra (SSQE) dell’UE si basa sul principio “chi inquina paga” e coinvolge oltre 10’000 aziende nei settori dell’energia elettrica, dell’industria manufatturiera e dell’aviazione civile. Attualmente, il prezzo di una quota di emissione è di circa 50 dollari.

Sebastian Heselhaus, professore di diritto all’Università di Lucerna, sostiene che la misura inciterà gli Stati extraeuropei ad adottare politiche climatiche più ambiziose. Heselhaus rammenta a questo proposito quanto già successo nell’aviazione: “La minaccia dell’UE di includere le compagnie aeree estere nel suo sistema SSQE ha portato all’elaborazione di un modello alternativo a livello internazionale”.

La tassa alle frontiere dell’UE non fa l’unanimità. In aprile, durante una videoconferenza con Emmanuel Macron e Angela Merkel, il presidente cinese Xi Jinping ha espresso la sua opposizione, denunciando le “barriere commerciali” che vengono erette in nome del cambiamento climatico.

L’UE non ha bisogno di proteggersi dalla Svizzera se il Paese pratica gli stessi prezzi sul CO2, commenta Philippe Thalmann, professore di economia ambientale al Politecnico federale di Losanna. “Questo è il caso per una parte dell’industria elvetica, ovvero per le aziende che partecipano al sistema svizzero di scambio di quote di emissione”, che dal 2020 è collegato a quello europeo, spiega. I settori che sono esonerati dalla tassa sul CO2, aggiunge, beneficiano invece di una sorta di privilegio che l’UE potrebbe decidere di tassare alle frontiere. Secondo Thalmann, anche la Confederazione dovrebbe introdurre una tassa simile, per evitare ad esempio che dei prodotti cinesi entrino nell’UE dopo aver transitato dalla Svizzera.

Contattato da SWI swissinfo.ch, l’Ufficio federale dell’ambiente indica che “è ancora troppo presto per dire quali potrebbero essere le conseguenze di tale meccanismo per la Svizzera”.

La tassa svizzera sul CO2

La Svizzera applica dal 2008 una tassa d’incentivazione sui combustibili fossili (principalmente olio da riscaldamento e gas naturale). La misura era stata decisa dal Parlamento un anno prima siccome la Svizzera non aveva raggiunto i suoi obiettivi climatici. Lo scopo è di incoraggiare i proprietari di immobili a diminuire il consumo di energia fossile usata per il riscaldamento – ad esempio sostituendo una caldaia a gasolio con una pompa a calore – e quindi di ridurre le emissioni di CO2.

L’aliquota è attualmente di 96 franchi per tonnellata di CO2, ovvero 25 centesimi per litro di gasolio. Essa passerà a 120 franchi nel 2022, il massimo previsto dall’attuale legislazione, in quanto le emissioni non sono scese a sufficienza. Una modifica legislativa che prevedeva di portare il tetto massimo dell’aliquota a 210 franchi è stata bocciata il mese scorso in votazione popolare.

Circa due terzi dei proventi della tassa sono restituiti alla popolazione e all’economia. Gli impianti che consumano grosse quantità di combustibili fossili possono chiedere l’esenzione dalla tassa, a condizione di impegnarsi a ridurre le proprie emissioni. La tassa d’incentivazione sul CO2 è “ben accettata”, secondo la ministra elvetica dell’ambiente Simonetta Sommaruga.

Una misura efficace?

“Nel settore in cui viene applicata, ovvero i combustibili fossili per la produzione di calore, la tassa si è dimostrata efficace”, afferma Philippe Thalmann. È in effetti nel settore degli edifici che la Svizzera ha registrato la riduzione più marcata delle emissioni, rileva. “La tassa è efficace anche per l’industria, in quanto obbliga le aziende che vogliono essere esonerate a ridurre le proprie emissioni”.

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Qual è la situazione nel mondo?

“Ci sono due modi per attribuire un prezzo al carbonio: i sistemi SSQE e le tasse sul CO2. La scelta dipende dai singoli Paesi o settori”, spiega Philippe Thalmann.

Oltre agli Stati dell’UE e alla Svizzera, sono circa una decina i Paesi nel mondo ad aver adottato uno o entrambi i modelli, secondo i dati della Banca mondialeCollegamento esterno. Tra questi figurano il Canada, il Messico, la Cina e il Sudafrica.

Nel 1990, la Finlandia è stata la prima al mondo a introdurre una tassa sul CO2. Attualmente, il Paese a imporre l’aliquota più alta è la Svezia, con 137 dollari per tonnellata, seguita dalla Svizzera (101 dollari).

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“Ci sono Paesi che prevedono un’aliquota relativamente bassa, che viene però applicata a buona parte delle emissioni. Altri, come la Svizzera, hanno invece optato per una tassa molto alta, ma poco estesa. La tassa elvetica sul CO2 copre circa il 40% delle emissioni”, rileva Philippe Thalmann.

La Svezia, prosegue il professore, può essere considerata un modello in quanto non solo prevede la tassa più alta del mondo, ma è anche riuscita ad aumentarla e ad estenderla gradualmente.

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