L’atleta iraniana senza velo è finita in carcere
Dopo ore di apprensione per la sorte di Elnaz Rekabi, l’atleta iraniana che ha osato gareggiare senza velo, sono giunte le prime notizie.
La campionessa di arrampicata è stata tradotta in carcere a Evin al suo rientro a Teheran dalla Corea del Sud, dove ha partecipato ai campionati asiatici.
Dell’atleta si erano perse le tracce mentre le immagini di lei in gara con i capelli che coprono la scritta “Iran” sull’uniforme della nazionale facevano il giro del mondo.
Ma oggi è apparso un messaggio sul suo account Instagram secondo cui l’hijab le sarebbe caduto “inavvertitamente” poco prima di gareggiare. Rekabi si è anche scusata per “aver fatto preoccupare tutti” e ha annunciato che stava tornando a Teheran, come da programma, con le sue compagne di squadra.
Prima che riapparisse con il post, IranWire, sito informativo dei dissidenti iraniani in esilio, aveva riportato fonti anonime secondo cui, dopo la gara, la sportiva sarebbe stata ingannata dal capo della Federazione di arrampicata iraniana che l’avrebbe condotta nell’ambasciata di Teheran a Seul, su istruzioni del presidente del Comitato olimpico iraniano Mohammad Khosravivafa. Che a sua volta avrebbe ricevuto l’ordine dalle Guardie della Rivoluzione. Al contrario di ciò che è stato postato in seguito su Instagram, l’atleta avrebbe scelto consapevolmente di gareggiare senza il velo.
“Le donne non dovrebbero mai essere perseguite per ciò che indossano e non dovrebbero mai essere sottoposte a violazioni come la detenzione arbitraria o altre violenze per come sono vestite”, ha affermato a proposito di Rekabi la portavoce dell’Ufficio dell’Alto commissariato Onu per i diritti umani, Ravina Shamdasani, aggiungendo che le Nazioni Unite seguiranno la vicenda “molto da vicino”.
L’immagine dell’atleta iraniana senza l’hijab – obbligatorio in pubblico nella Repubblica islamica – sono subito rimbalzate sui media di tutto il mondo ed è stata interpretata come un suo sostegno alle proteste in corso da oltre un mese per Mahsa Amini, la 22enne curda morta dopo essere stata arrestata dalla polizia morale perché non indossava il velo in modo corretto. Secondo l’agenzia degli attivisti per i diritti umani iraniani Hrana, da quando le dimostrazioni sono iniziate, almeno 240 persone sono rimate uccise, tra cui 32 minori.
L’ultima vittima della repressione del regime degli ayatollah è Asra Panahi, studentessa di 16 anni che secondo il sindacato degli insegnanti ha perso la vita dopo un pestaggio da parte delle forze di sicurezza perché, assieme ad altre compagne di classe in una scuola di Ardabil, si era rifiutata di cantare un inno dedicato alla Guida suprema, Ali Khamenei. Secondo la ong, gli arresti sono oltre 8’000, tra loro anche 9 stranieri, come l’italiana Alessia Piperno, che si trovava nel Paese mentre sono esplose le proteste.
Mentre le proteste sono continuate anche in questi giorni con scioperi e sporadiche dimostrazioni per le strade di varie città, la Repubblica islamica ha condannato le sanzioni che l’Unione europea ha imposto a Teheran in segno di protesta contro la dura repressione dei manifestanti.
L’Iran ha promesso una risposta in tempi brevi contro la decisione di Bruxelles che rappresenta “una palese interferenza negli affari interni” e “viola il diritto internazionale”, ha fatto sapere il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Nasser Kanani.
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