La “dolce” storia dello svizzero che scelse Rieti come casa
L’imprenditore ticinese Emilio Maraini - padre dell’industria saccarifera italiana – scelse Rieti per fondare il primo, vero zuccherificio d’Italia a metà Ottocento. Decise di lasciare Roma per trasferirsi in provincia dove partecipò attivamente alla vita sociale e politica. Ma della sua presenza oggi in città restano solo ruderi.
Il nome Emilio Maraini a Rieti lo conoscono tutti. Perché è quello di uno dei viali più importanti della città, quello che collega il moderno quartiere Madonna con il centro antico. A lui, poi, è dedicata una scuola materna e una villa. E a ricordare il suo passaggio da queste parti ci pensano anche i ruderi di quello che fu il primo zuccherificio d’Italia gestito, appunto, dal ticinese. Lo stabilimento oggi è in mano a privati che ne vorrebbero fare un gigantesco supermercato ma in città è in corso da anni un dibattito nel tentativo di dare a quegli spazi un valore culturale. Insomma, a Rieti si parla ancora – direttamente o indirettamente – di Emilio Maraini.
Chi conosce la storia dell’imprenditore svizzero tende a far combaciare la sua vita con le esperienze vissute a Roma dove effettivamente ha vissuto gli ultimi anni della sua vita. Eppure fu Rieti la città che Maraini scelse come casa. Qui trascorreva gran parte del suo tempo e entrò in contatto con la popolazione locale. Tanto da riuscire a imporre all’intero sistema produttivo cittadino il suo “metodo svizzero”.
Da Lugano a Rieti passando per Roma
Nato a Lugano nel 1853, decise di trasferirsi in Italia nel 1886 (non prima, però, di aver vissuto nei Paesi Bassi e a Praga dove studiò le produzioni locali di zucchero).
All’epoca il Regno d’Italia non aveva una propria industria saccarifera ed Emilio Maraini decise che sarebbe stato lui ad avviarla.
Dopo meno di un anno a Roma, Maraini decide di trasferirsi a Rieti dove acquistò lo zuccherificio creato nel 1873, il primo zuccherificio della storia d’Italia. “In realtà prima di quella data era stato fondato, a poca distanza da qui, un altro zuccherificio. Ma a dire il vero né quello, né questo acquistato da Maraini ebbero alcuna fortuna dal punto di vista economico”, spiega a tvsvizzera.it Roberto Lorenzetti, ispettore onorario del Ministero italiano della cultura ed ex direttore dell’archivio di Stato di Rieti.
Sebbene avesse interessi economici in diverse parti d’Italia e trascorresse diverso tempo a Roma, Maraini decise di vivere qui e di prendere parte attivamente alla vita sociale ed economica reatina. Tanto da essere eletto presidente del locale Comizio agrario, una sorta di sindacato degli agrari del posto. “In fondo lui era un imprenditore di grandissimo spessore rispetto agli agrari di provincia che erano qui”, racconta ancora Lorenzetti.
Un metodo svizzero per la produzione dello zucchero
A Maraini fu subito chiaro che per rendere economicamente vincente l’azienda che aveva deciso di acquistare bisognava effettuare delle modifiche sostanziali alla produzione sin dalla base della filiera.
Il primo passo da fare era convincere gli agricoltori a produrre barbabietole da zucchero per lo zuccherificio invece che altri alimenti per la loro personale sussistenza. Il secondo, era rendere maggiormente produttiva la filiera attraverso la selezione genetica delle barbabietole più adatte al territorio e attraverso la modifica stessa del sistema produttivo. “Maraini, arrivato qui, inizia subito ad investire sull’opificio. Amplia lo stabilimento, lo modernizza e poi fa una cosa importante: fa in modo che il ciclo produttivo si apra e si chiuda qui. Prima di lui qui si produceva solo zucchero greggio che poi bisognava trasportare in raffineria ad Ancona con costi notevolissimi. Con lui in questo stabilimento entrano le barbabietole prodotte a pochissima distanza da qui ed esce direttamente zucchero. Facendo aumentare notevolmente le entrate dell’azienda”, racconta Lorenzetti.
Il possidente terriero e il genetista
Maraini riuscì a imporre il suo metodo e le sue scelte non solo alla sua fabbrica ma anche all’intero sistema produttivo reatino. Ciò fu possibile da una parte grazie alle sue capacità imprenditoriali e alle sue conoscenze; dall’altra grazie a due personaggi che furono i suoi punti di riferimento in città.
Il primo fu Giovanni Potenziani, il più grande proprietario terriero dell’area reatina e membro di una delle più influenti famiglie della regione. Potenziani, che lo svizzero conobbe a Roma nei primi mesi della sua permanenza, si fece garante per Maraini sul territorio reatino sin dai suoi primi giorni. “Tant’è vero che Potenziani fa da mediatore sull’acquisto dello zuccherificio. Non fu Maraini ad esporsi in prima persona nell’atto della proposta ma lo fece Potenziani per suo conto”, spiega Lorenzetti.
Il secondo personaggio reatino con cui Maraini collaborò fu il padre della genetica agraria Nazareno Strampelli. “Maraini stabilì un rapporto molto stretto con il grande scienziato. Un personaggio che si occupò soprattutto di grani studiandoli e creandone di specifici per ogni angolo del mondo”.
Ma in quel periodo Strampelli si occupava anche di barbabietole da zucchero nel tentativo di individuare quelle migliori per determinati territori. Insomma, il genetista e l’imprenditore dello zucchero non potevano che iniziare una collaborazione.
“Un sodalizio che durò molti anni e che fu molto apprezzato dallo scienziato. Tanto che Strampelli, molto grato all’imprenditore svizzero, decise di dedicargli il nome di un orzo”, spiega ancora Lorenzetti.
Gli ultimi anni a Roma
Se i suoi interessi economici lo tenevano a Rieti, quelli politici lo portavano spesso a Roma. Dopo aver ricevuto la cittadinanza italiana, Emilio Maraini decise di fare politica attiva. Prima fu consigliere comunale a Rieti, poi fu eletto parlamentare. Nel 1900, infatti, entra alla Camera dei deputati del Regno d’Italia dove rimase fino 1916, anno della sua morte.
A causa dei suoi impegni politici, fare la spola tra Rieti e Roma divenne più impegnativo. Così Emilio Maraini decise di farsi costruire una villa nella Capitale e chiese al fratello Otto di realizzarla.
Altri sviluppi
La Villa dove arte e scienza si incontrano
Dopo la morte di Emilio, la villa rimase a disposizione della vedova, la contessa Carolina Maraini-Sommaruga. La villa nel 1947, per espressa richiesta della vedova di Maraini, passò nelle mani della Confederazione Elvetica. La richiesta della contessa Maraini-Sommaruga fu di mettere quella villa “perpetuamente al servizio della cultura, nel segno della collaborazione tra la Svizzera e l’Italia”. Oggi è sede dell’Istituto Svizzero di Roma, che promuove lo scambio scientifico e artistico tra i due Paesi.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Se volete segnalare errori fattuali, inviateci un’e-mail all’indirizzo tvsvizzera@swissinfo.ch.