La funivia della discordia tra Cervino e Monte Rosa
Nel vallone delle Cime Bianche, un’area protetta della Val d’Ayas, si progetta di costruire una funivia per collegare il comprensorio sciistico del Cervino con quello del Monte Rosa. Un’ipotesi che non piace a tutti, anche perché per legge in questa zona non si possono costruire nuovi impianti.
A quota 1650 metri la strada finisce, da lì in poi le auto non possono più proseguire. Si parcheggia a Saint-Jacques-des-Allemands, ci si mette gli scarponi ai piedi e si cammina. “Perché des allemands? Perché quest’area fu oggetto, tra il XII e il XIII secolo, della colonizzazione pacifica da parte della popolazione Walser, arrivata qui dal canton Vallese attraverso il vallone delle Cime Bianche”. A raccontarlo è Marcello Dondeynaz, una vita spesa in Valle d’Aosta, oggi referente del comitato che si chiama proprio “Ripartire dalle Cime Bianche”.
Il comitato è composto da un gruppo di persone legate ad Ayas (il comune sparso del quale fa parte anche Saint-Jacques-des-Allemands) e da quasi dieci anni è impegnato nella tutela e nella valorizzazione di questa zona. Un’area minacciata, a loro dire, dall’ipotesi di una funivia lunga all’incirca 8 km, che potrebbe venire costruita proprio nel vallone delle Cime Bianche, per collegare gli impianti sciistici del Cervino con quelli del Monte Rosa.
L’idea di realizzare questa funivia risale ad alcuni anni fa, ma a oggi non vi è ancora un progetto vero e proprio messo nero su bianco. Nel 2021, la società Monterosa Spa (una partecipata della Regione Valle d’Aosta) ha commissionato allo studio tecnico Montecno di Bolzano uno “studio di fattibilità del collegamento intervallivo Cime Bianche” dal costo di 403’000 euro, studio che non è ancora stato reso pubblico.
Della funivia si sta però parlando molto e le ragioni sono almeno due. Innanzitutto c’è un aspetto normativo: il vallone delle Cime Bianche rientra in un’area protetta che stabilisce che non sia possibile costruirvi nuovi impianti di risalita o piste da sci; poi c’è la discussione su quale modello di sviluppo turistico delle aree montane sia conveniente e saggio promuovere per il futuro: di fronte a inverni in cui nevica sempre meno, lo sci rappresenta ancora un’industria sostenibile?
La legge dice che la funivia non si può fare
La parte superiore del vallone delle Cime Bianche è compresa in un’area (denominata “Ambienti glaciali del Gruppo del Monte Rosa”Collegamento esterno) che è sia Zona di Protezione Speciale (ZPSCollegamento esterno), sia Zona Speciali di Conservazione (ZSCCollegamento esterno). Detto in parole più semplici, fa parte della rete Natura 2000Collegamento esterno, lo strumento dell’Unione europea per la conservazione della biodiversità. All’articolo 5 comma m, il Decreto Ministeriale 17 ottobre 2007Collegamento esterno sancisce il divieto alla “realizzazione di nuovi impianti di risalita a fune e nuove piste da sci” nelle suddette aree.
Ciononostante, le risorse per quello studio di fattibilità sono state spese: “Soldi buttati via, l’opera non è realizzabile” sostiene Dondeynaz. La vicenda potrebbe avere anche risvolti giudiziari: già nel dicembre del 2020, i legali di diverse associazioni (tra cui il comitato “Ripartire dalle Cime Bianche”) avevano scritto una lettera di diffidaCollegamento esterno, sostenendo che potrebbe addirittura configurarsi l’ipotesi di un danno erariale ai danni dello Stato. In altre parole, spendere soldi per un progetto reso impossibile dalle norme in vigore sarebbe, secondo chi si oppone alla funivia, uno spreco di risorse pubbliche.
Destagionalizzare il turismo
“La funivia sarebbe un’opera sbagliata anche dal punto di vista strettamente funzionale” aggiunge Dondeynaz. “Innanzitutto, nel vallone delle Cime Bianche non si può sciare, quindi non saremmo in presenza di un comprensorio sciistico, ma di un carosello di impianti che verrebbe utilizzato a livelli prossimi allo zero. Pensiamo davvero che sciatori provenienti da Zermatt, dove ci sono piste meravigliose, arrivino fino al colle superiore delle Cime Bianche, da lì prendano due impianti per scendere a Frachey, poi salgano sulla funicolare e infine prendano una seggiovia, il tutto per farsi una sciatina su questo versante, sapendo poi di dover tornare indietro?”.
Di avviso diametralmente opposto sono i sostenitori del progetto: anche loro hanno dato vita a un comitato, chiamato “Comitato Promotore Cervino Monterosa Paradise”. A presiederlo c’è l’albergatore di Cervinia Bruce McNeill. Secondo McNeil, la funivia nel vallone delle Cime Bianche rappresenterebbe un’opportunità di sviluppo economico – “I turisti asiatici che arrivano in Europa desiderano vedere le Alpi, pertanto riteniamo che nel futuro avremo una crescita intorno al 12% del turismo asiatico in Val d’Aosta e anche a Zermatt” ha spiegato in questo servizio – e consentirebbe di “destagionalizzare il turismo”, offrendo alternative allo sci a chi preferisce praticare escursionismo, trekking e mountain bike. Senza contare che “avvicinerebbe le comunità, aumenterebbe il senso di unità e i nostri figli potrebbero andare a studiare a Zermatt per un certo periodo di tempo”.
“Teniamo presente che nel comprensorio del Monte Rosa, già oggi, le presenze invernali ed estive si equivalgono – ribatte Dondeynaz –. Qui non vi è periodo dell’anno in cui non si incontrano persone che vengono a camminare, anche quando gli impianti di risalita sono chiusi”. “E chi pratica trekking non va mai dove ci sono le funivie – aggiunge Lorenza Collé, operatrice turistica già presidente del Consorzio turistico locale –. Le evita il più possibile e di certo non sceglie appositamente di camminare in luoghi dove ci sono impianti”.
Lo sci ha un futuro?
Un altro aspetto sul quale insiste chi si oppone alla funivia è l’opportunità (anche economica) di fare un investimento di questo tipo. Dubbi espressi anche da Antonio Montani, presidente del Club Alpino Italiano (Cai), secondo cui “i cambiamenti climatici e le temperature anomale invernali obbligano a fare riflessioni sul medio periodo, un arco di tempo di quindici o vent’anni”. La siccità è un problema, la carenza di acqua ha già causato problemi ad alcuni rifugi sulle Alpi e l’innevamento artificiale “lascia molte perplessità”.
Secondo Montani, insomma, “un intervento del genere non è remunerativo e quel modello di sviluppo, probabilmente, ha una limitazione temporale. Non abbiamo nulla contro lo sci, anzi: quasi tutti noi siamo sciatori. Ma quello non può essere l’unico modello di sviluppo della montagna: siamo convinti che gli impianti, dove già ci sono, vanno bene, e che devono essere mantenuti e magari anche migliorati, ma piuttosto che andare a intaccare zone vergini è meglio pensare a un modello alternativo, quello del turismo lento”.
Un turismo lento, prosegue Dondeynaz, che valorizzi le ricchezze e le unicità del territorio: in val d’Ayas, ad esempio, le particolarità geologicheCollegamento esterno che ne fanno un luogo privilegiato di osservazione e studio delle conformazioni rocciose dai tempi dell’oceano alpino (150 milioni di anni fa) fino alla formazione delle Alpi; oppure le testimonianze etnografiche sparse qua e là, la cultura legata all’estrazione e alla lavorazione della pietra ollare, il valore naturalistico dettato dalla flora e dalla fauna già oggi oggetto di tutela. “Proponiamo l’istituzione di un parco naturale, capace di assicurare una quindicina di posti di lavoro, e il recupero e la trasformazione di alcune strutture esistenti per farne i luoghi della divulgazione e dell’accoglienza di chi è interessato a un turismo di questo tipo” conclude il referente del comitato.
Un’idea che trova d’accordo anche Paolo Cognetti, scrittore vincitore del Premio Strega nel 2017 con il romanzo Le otto montagne, che proprio in val d’Ayas trascorre gran parte della sua vita: “Costruire un impianto significa antropizzare in luogo, e da lì sappiamo che non si torna indietro”.
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