La Svizzera non accoglierà per ora contingenti di profughi afghani
Ammissioni individuali sì, ma nessun contingente di rifugiati dall'Afghanistan, almeno per ora: è la posizione del Governo svizzero, che ha deciso mercoledì di non approvare la richiesta fatta da varie organizzazioni e partiti.
Il responsabile del Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), Ignazio Cassis, nel corso di una conferenza stampa a Berna, si è detto preoccupato per la grave instabilità in Afghanistan. Tuttavia, il Consiglio federale ha deciso di non approvare la richiesta di varie organizzazioni che chiedevano l’ammissione immediata nella Confederazione, senza ostacoli burocratici, di migliaia di cittadini afghani in fuga.
Le domande d’asilo presentate da cittadini afghani in Svizzera sono esaminate dalla Segreteria di Stato della migrazione (SEM) in procedura ordinaria. Chi è in pericolo continua comunque a ottenere l’asilo o l’ammissione provvisoria, ha spiegato oggi Karin Keller-Sutter, capo del Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP).
Situazione troppo caotica
Da un lato, secondo l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR), le informazioni precarie non consentono ancora di individuare l’eventuale necessità di un reinsediamento. Dall’altro, la situazione caotica delle partenze dall’Afghanistan rende impossibile un tale intervento anche in termini operativi, ha detto Keller-Sutter. “Gli aerei civili non possono decollare e la situazione rimane instabile e molto volatile”, ha chiarito dal canto suo Cassis. L’unico modo per lasciare il paese per via aerea è tramite velivoli militari, ha aggiunto.
“Siamo in contatto diretto con l’ACNUR che si trova sul posto e sarà esso a decidere se c’è bisogno di organizzare un reinsediamento. La Svizzera non può fare da sola un programma di questo genere. Vorrei comunque ricordare che attualmente non si può uscire dall’Afghanistan”, ha affermato la consigliera federale.
Ventimila afghani in Svizzera
Il diritto elvetico, ha ricordato il Governo in un comunicato, prevede la possibilità di chiedere un visto umanitario presentandosi di persona in una rappresentanza svizzera all’estero, ma va dimostrata una minaccia concreta, diretta e seria. Secondo la prassi corrente occorrono inoltre rapporti stretti e attuali con la Svizzera; per i familiari più stretti esiste invece la possibilità – a determinate condizioni – di un ricongiungimento familiare.
Karin Keller-Sutter ha poi spiegato che attualmente ci sono 20’000 afghani nella Confederazione e 15’000 sono in fase di richiesta d’asilo, ma solo una minoranza di afghani in Svizzera ha uno status chiaro.
Visto umanitario per collaboratori locali
La Svizzera è tuttavia al lavoro per cercare un modo di far espatriare il personale locale dell’ufficio di coordinamento della Direzione dello sviluppo e della cooperazione (DSC) di Kabul. Keller-Sutter ha ribadito l’intenzione di accogliere nella Confederazione una quarantina di collaboratori locali insieme alle loro famiglie, per un totale di circa 230 persone che otterranno un visto umanitario.
I dipendenti di Stati e organizzazioni occidentali potrebbero infatti essere in pericolo dopo l’avvento al potere dei talebani, ha sostenuto la sangallese, sottolineando che è un dovere della Confederazione – in quanto datore di lavoro – assistere e proteggere i suoi collaboratori.
“Ogni via possibile sarà utilizzata per arrivare a questo traguardo”, ha spiegato Cassis, aggiungendo che bisognerà però coordinarsi con gli Stati Uniti – che controllano attualmente la situazione – e gli altri Paesi alleati, in particolare la Germania con la quale la Svizzera ha collaborato per il rimpatrio dei collaboratori elvetici che operavano a Kabul.
I 230 cittadini afghani saranno computati nel contingente di reinsediamento di 800 persone approvato dal Consiglio federale per il 2021, ha precisato la consigliera federale, aggiungendo che si tratta della soluzione “più veloce, pratica e meno burocratica”. A essi verrà concesso l’asilo non appena giungeranno – e verranno registrati – in Svizzera: in quanto collaboratori della DSC, hanno già comprovato la propria identità e superato i controlli di sicurezza e pertanto “si rinuncia alla procedura ordinaria”.
Tutti i collaboratori svizzeri sono rientrati
Nel frattempo, la Svizzera continua a impegnarsi anche per far uscire dal Paese i cittadini svizzeri ancora bloccati in Afghanistan. Già lunedì, Cassis aveva confermato che tutti e sei i membri elvetici della rappresentanza svizzera a Kabul avevano lasciato il Paese. Tre erano già partiti venerdì scorso, mentre gli altri tre – partiti da Kabul domenica scorsa e atterrati inizialmente a Doha, in Qatar, a bordo di un aereo statunitense – sono giunti all’aeroporto di Zurigo ieri sera, ha detto il “ministro” degli esteri.
Dal 2002, Berna dispone di un ufficio di cooperazione per l’attuazione dei programmi della DSC a Kabul. Le relazioni politiche con l’Afghanistan sono invece mantenute tramite l’ambasciata svizzera di Islamabad, in Pakistan. Quest’ultima è ora in contatto con i cittadini svizzeri rimasti in loco: finora una trentina di loro ha manifestato il desiderio di lasciare il Paese.
Dopo l’avvento al potere dei talebani, la situazione in Afghanistan è più che mai incerta. La scorsa domenica il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) ha temporaneamente chiuso l’ufficio di coordinamento della DSC di Kabul. Al momento non è chiaro quando e come la DSC potrà riprendere il proprio lavoro a Kabul. Vista la situazione sul posto, la SEM dal canto suo aveva già deciso lo scorso 11 agosto di sospendere fino a nuovo avviso l’esecuzione degli allontanamenti passati in giudicato.
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