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La Svizzera non è attrezzata per difendersi dalle minacce informatiche

Il sito russo di hacker NoName visto su Telegram
Nelle ultime settimane gli hacker russi NoName hanno preso di mira le infrastrutture critiche svizzere. © Keystone / Stringer

Esperti e politici hanno lanciato l'allarme sulle lacune presenti in Svizzera a fronte di un probabile aumento degli attacchi informatici contro strutture essenziali e vitali del Paese.

Negli ultimi due anni gli hacker hanno intensificato gli attacchi in Svizzera contro le amministrazioni comunali, le università e altri settori strategici come gli aeroporti.

In proposito, secondo quanto ha riportato il quotidiano NZZ am Sonntag, la società attiva nel campo della sicurezza informatica Dreamlab Technologies ha scovato 106’000 falle tra 3,5 milioni di server nella Confederazione. Va sottolineato che già 50’000 punti deboli sono considerati estremamente gravi.

Recentemente, il gruppo filorusso NoName è stato accusato di attacchi DDoS (Distributed Denial of Service) contro i server governativi e l’aeroporto di Ginevra alla vigilia dell’intervento video del presidente ucraino Volodymyr Zelensky al Parlamento svizzero, durante la sessione delle Camere federali che si è chiusa venerdì scorso.

“La nave sta affondando. Dobbiamo coordinare i nostri sforzi per tappare le falle”, ha denunciato domenica il capo di Dreamlab Nicolas Mayencourt alla NZZ am Sonntag. Ma anche diversi parlamentari di tutti gli schieramenti hanno chiesto di affrontare con maggiore urgenza la crescente minaccia per la sicurezza del Paese.

In questo contesto cosa stanno facendo le autorità federali? Dall’inizio del prossimo anno, il Centro nazionale per la sicurezza informatica (NCSC) farà capo direttamente a un nuovo segretariato di Stato per la sicurezza sotto il ministero della Difesa.

Il budget annuale del NCSC aumenterà di conseguenza da 13,7 a 14,5 milioni di franchi svizzeri (16,2 milioni di dollari). Secondo il giornale, questo nuovo importo servirà a coprire quattro posti a tempo pieno in più.

Ma gli esperti citati nell’articolo dubitano fortemente che questi interventi siano sufficienti per far fronte alla minaccia.

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