Le voci di una Milano che non c’è più
Viaggio nella memoria e nei racconti sulla città lombarda, prima del suo tumultuoso sviluppo (che ne ha però forse fatto perdere l'anima) in un documentario della televisione svizzera del 1973 tratto dagli Archivi RSICollegamento esterno.
Come era la Milano di una volta? I racconti dei più anziani ci dicono che la metropoli lombarda aveva poco a che vedere con quella attuale, erede in gran parte della “Milano da bere” degli anni ’80, votata alla frenesia consumistica e edonistica, ai riti della moda e alle speculazioni della finanza internazionale.
Il documentario della Televisione svizzera italiana TSI (ora RSI) risalente al 1973 ci restituisce una città in disordinata ed impetuosa crescita in cui le logiche del boom economico del dopoguerra si scontravano con tradizioni tramandate dai secoli precedenti.
“Gridi nelle vie di Milano”, del 7.12.1973 sulla TSI. Soggetto di Andrea Musi, testi poetici scritti e letti da Walter Valdi e regia di Fausto Sassi.
Questo prezioso documento firmato da Walter Valdi ci restituisce personaggi e umili professioni ormai del tutto scomparse, ma di cui ancora negli anni ’70 esistevano gli eredi, se non la memoria. E luoghi della vecchia Milano, in pieno centro e tra i navigli, di cui restano solo poche vestigia ma che ci raccontano storie passate.
Uno di questo si trova in Vicolo dei lavandaiCollegamento esterno, uno scorcio suggestivo e caratteristico nel quartiere Navigli, con il suo lavatoio che dal XVIII secolo la confraternita di operai aveva trasformato in un’attività redditizia, grazie anche alla piazzetta di scarico delle merci sul Naviglio Grande, fino agli anni ’50.
E vengono evocati i gesti quotidiani della Maria “lavandera”, inginocchiata sul predellino sulla pietra del naviglio a strofinare biancheria con la cenere e il sapone.
Ma in quella Milano c’era anche il battitore di stoffe in Piazza Fontana, luogo divenuto tristemente famoso in epoca successiva. O “ul pulentat” di Porta ticinese. Ma “polenta e pesit”, pescati nel Lambro o in altri piccoli corsi d’acqua della zona, si trovavano in numerosi altri banchi disseminati nel centro e nella periferia, al costo di due soldi e mezzo. Lo street-food a quei tempi, più che una moda era una necessità per operai e lavoratori di fatica, pagati a giornata, che se lo potevano permettere.
Le strade che separavano file di case a ringhiera pullulavano di persone affaccendate nei loro umili compiti dove le voci e i gridi di venditori ambulanti, spazzacamini e bottegai erano il tratto distintivo di quello scenario.
Analogo sottofondo, oggi sostituito dai rumori del traffico motorizzato, lo si percepiva nei mercati rionali, ora scomparsi come quello di Via Santa Caterina, o nei pressi dei carretti del “caffè del genoeuccCollegamento esterno” che nelle prime ore del mattino erano affollati di vetturini, lavoratori, prostitute e sfaccendati, come ci raccontano sempre le stesse fonti.
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