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L’italiano in Svizzera? Meglio che nella madrepatria

Campagna di promozione dell'italiano a Berna nel 2006.
Campagna di promozione dell'italiano a Berna nel 2006. keystone

Sorprendenti risultati di una ricerca universitaria: la lingua di Dante usata dall’amministrazione federale è più chiara e semplice di quella impiegata nella Repubblica. Un fattore decisivo è costituito dal plurilinguismo elvetico.

Se nella Svizzera esistono le bucalettere, i medicamenti e gli autopostali, in definitiva la minoranza italofona non ha nulla da invidiare ai vicini d’oltre confine che non nascondono la loro ironia in merito ai cosiddetti elvetismi in uso nella Confederazione.

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Una ricerca comparativa condotta dall’Università di Basilea è giunta alla conclusione che l’italiano parlato e scritto in Svizzera ha una sua dignità ampiamente riconosciuta e quello istituzionale appare addirittura più chiaro e qualitativo di quello in uso in Italia.

Lo studio si è soffermato soprattutto sulla vasta produzione di testi ufficiali emanati dalle autorità – in particolare dalla Cancelleria federale e da quelle cantonali di Ticino e Grigioni – ed è stato comparato l’italiano ufficiale nei due Paesi. A questo fine sono stati analizzati anche i documenti istituzionali redatti in francese e tedesco, vale a dire le altre due lingue ufficiali della Confederazione.

Plurilinguismo paritario

Ed è emerso chiaramente, ha spiegato Angela Ferrari, ordinaria di linguistica presso l’ateneo basilese, che “nel nostro paese il multilinguismo ufficiale è assolutamente paritario, non importa quali siano le percentuali relative delle persone che realmente parlano le tre lingue ufficiali”.

L’italiano infatti, pur essendo la lingua madre solo dell’8% della popolazione elvetica (residente soprattutto in Ticino e nel Grigioni italiano), è riconosciuto come lingua ufficiale dalla Costituzione svizzera. E soprattutto, secondo quanto affermano i sociolinguisti, “dal punto di vista legislativo non c’è al mondo un idioma di minoranza meglio tutelato dell’italiano in Svizzera”.

La più rilevante conclusione cui è giunta la ricerca scientifica è che, analizzando i documenti istituzionali, è stato constatato che tra quelli svizzeri e quelli italiani non ci sono praticamente differenze significative a livello grammaticale. Non si può dire invece la medesima cosa riguardo il lessico, che evidenzia divari che vengono definiti anche notevoli.

Peculiarità lessicali

Le ragioni di questa discrepanza vengono individuate nella peculiarità linguistica, politica, sociale e culturale della Confederazione. In particolare sono menzionati i cosiddetti “prestiti” dal tedesco o dal francese, termini mutuati da queste due lingue che non si ritrovano in Italia. Idiomatico, a questo riguardo, l’uso in Svizzera della parola medicamento (in francese médicament e in tedesco Medikament), in alternativa a quella di medicinale o farmaco.

illustrazione che raffigura Dante e una cartina della Svizzera

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Ma queste specificità, sostiene Angela Ferrari, non autorizzano a ritenere che vi sia una gerarchia tra le due realtà linguistiche. Si tratta infatti, osserva l’accademica, di “peculiarità lessicali che portano spesso – soprattutto i ticinesi, ma non solo – a ritenere che l’italiano svizzero sia di minor valore di quello d’Italia” ma “non c’è naturalmente niente di vero”.

L’italiano, come del resto il francese e l’inglese, sebbene in misura meno estesa, è una lingua cosiddetta pluricentrica, cioè idioma nazionale di più di uno Stato. E per questa ragione “l’italiano svizzero è la lingua di uno Stato autonomo, diverso dall’Italia, il quale ha e deve avere il diritto di mantenere le sue proprie peculiarità, senza che ciò venga considerato come una qualsivoglia svalutazione”.

Comunicazione istituzionale più chiara

Oltre alle specificità lessicali, vi è un secondo aspetto che marca una certa differenza tra i due Paesi ma che in un certo senso premia il modello elvetico e che attiene alla comunicazione istituzionale.

Dal confronto tra i testi svizzeri e italiani è emerso che le autorità elvetiche danno grande importanza alla chiarezza della comunicazione: i testi ufficiali elvetici sono infatti fortemente orientati al destinatario e curano in modo particolare la loro leggibilità e comprensibilità. Questo si traduce in frasi brevi e non troppo complesse e i termini specialistici e settoriali vengono utilizzati solo quando è indispensabile.

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Uno sforzo che si ravvisa anche nell’adozione di nuovi strumenti comunicativi, assai diffusi tra le giovani generazioni, come i social media. Soprattutto dopo la pandemia di coronavirus, asserisce Filippo Pecorari, componente dell’équipe di ricerca basilese, “i testi sono diventati più moderni e sempre più uffici federali sono ora presenti anche su Instagram”. Video, infografiche, emoji, link e hashtag aiutano insomma a comunicare i contenuti ufficiali alle e ai giovani in modo più rapido e accattivante.

“Siamo rimasti stupiti dalla grande chiarezza dei testi svizzeri rispetto a quelli italiani”, afferma Filippo Pecorari. Anche secondo l’Accademia della Crusca, una delle massime autorità in materia di lingua italiana, rileva a tal proposito Angela Ferrari, “i testi ufficiali italiani sono poco chiari, burocratici e autoreferenziali”. “Si ha la sensazione che le istituzioni italiane parlino solo tra di loro e per loro, e che non facciano attenzione alle persone che dovrebbero davvero leggere e capire i testi”.

Il ruolo dei traduttori della Confederazione

Le differenze nella comunicazione istituzionale tra i due Paesi confinanti vengono spiegate con ragioni storiche, politiche e culturali. Ma un fattore decisivo, sottolinea lo studio, è da ricercare nel diverso processo di produzione dei documenti ufficiali.

“I testi ufficiali della Confederazione Svizzera in italiano – rileva Angela Ferrari – sono quasi sempre traduzioni di testi in tedesco o in francese. Ora, sorprendentemente, questo non è un ostacolo, bensì un’opportunità per la loro qualità comunicativa”.

I traduttori e le traduttrici della Confederazione agiscono come attenti ‘collaudatori’, verificano cioè se il testo di partenza è coerente e chiaro, e se c’è bisogno di ricorrere a correttivi. Se la traduzione è difficile, insomma, spesso “è perché il testo originale è scritto male”.

“Per via della componente metalinguistica – continua l’accademica – che caratterizza la traduzione, hanno una visione del testo più distante e critica: è per questa ragione che a volte e inaspettatamente i testi tradotti sono più chiari e meglio strutturati degli originali”.

È interessante a questo proposito osservare che i testi ufficiali di carattere normativo vengono tradotti a mano a mano che, nel corso delle varie sedute parlamentari, gli originali vengono prodotti, discussi ed eventualmente riformulati. Secondo Angela Ferrari questa è un’opportunità notevole, che può portare addirittura a retroagire sul testo originale in tedesco, e a correggerlo sia nei contenuti sia nella forma.

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Se l’italiano nelle fonti ufficiali e amministrative gode di ottima salute, non può però dirsi la stessa cosa della comunicazione istituzionale orale. A Palazzo federale l’idioma di Dante non ha un’analoga visibilità.

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In questo ambito la ricerca osserva che “la quota dell’italiano parlato aumenta non appena un politico o una politica ticinese viene eletta in Governo o anche solo in Parlamento”. Purtroppo però, anche in questo caso, “l’italiano è relegato ai saluti e agli aspetti procedurali più triti: le informazioni più importanti sono comunque formulate in tedesco o in francese”.

Un fenomeno che secondo l’analisi scientifica è dovuto al fatto che i politici e le politiche italofone, temendo di non essere compresi dai colleghi di governo e dagli altri parlamentari, preferiscono esprimersi in tedesco o in francese nelle sedi istituzionali.

Una prassi che non è condivisa però da Angela Ferrari, che ha presieduto in passato la Società internazionale di linguistica e filologia italiana. “Da chi è alla guida di un paese ufficialmente multilingue si dovrebbe poter pretendere almeno una competenza di tutte le lingue ufficiali: il che dovrebbe valere idealmente anche per i funzionari federali”.

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