Lombardia, epicentro della crisi lavorativa italiana
Da inizio estate in Italia diverse aziende controllate da fondi esteri hanno chiuso e licenziato scatenando un’ondata di scioperi, proteste e manifestazioni di solidarietà. Viaggio in Lombardia dove nel giro di pochi giorni hanno chiuso i battenti due storiche industrie ancorate al territorio, ma controllate da una casa madre in Germania.
“Qui a Lomazzo, la Henkel è sempre stata considerata come una mamma. Una mamma che però ora ci ha tradito nel peggiore dei modi. Per questo la ferita è ancora più forte”. Per vent’anni, Maurizio Gragnaniello ha lavorato come esperto nello stabilimento comasco della Henkel, una multinazionale di Düsseldorf che produce detergenti per il bucato e per le stoviglie. Un lavoro buono, considerato sicuro: “Era come essere un funzionario pubblico, tanto che bastava mostrare la busta-paga della Henkel per ottenere un mutuo senza problemi”. Una situazione che si è improvvisamente interrotta lo scorso 11 febbraio quando la proprietà tedesca ha annunciato la chiusura della fabbrica, gettando nello sconforto circa 160 lavoratori, tra dipendenti diretti e impiegati nell’indotto. Maurizio Gragnaniello ha pianto per alcuni giorni: “Non ci volevo credere, la fabbrica era una sorta di grande famiglia e per noi lavoratori è stata una doccia fredda. Durante la pandemia abbiamo prodotto come non mai e non ci aspettavamo certo una decisione come questa”.
La Henkel in questo comune in provincia di Como è una sorta d’istituzione che ha dato lavoro a generazioni di cittadini. La fabbrica si è insediata qui nel 1933 ed è attorno a questo stabile industriale che si è sviluppato il villaggio. Dopo l’annuncio di febbraio, le attività sono proseguite fino al 30 giugno quando l’azienda ha spento ufficialmente le macchine. Quando arriviamo sul posto troviamo qualche addetto alla sicurezza e alla manutenzione e le bandiere e gli striscioni appese ai cancelli. In questi mesi è andata in scena una battaglia sindacale che, però, non ha potuto impedire la chiusura. Sandro Estelli, sindacalista per la Cgil, ha seguito la trattativa da vicino e conosce bene tutto quanto ruota attorno alla Henkel. Lo incontriamo nel suo ufficio nella vicina Fino Mornasco: “Eravamo partiti con l’idea di fare cambiare idea alla multinazionale, perché pensavamo di avere a che fare con un’azienda che avesse una certa responsabilità sociale. Invece così non è stato: il dialogo con la casa madre tedesca è stato impossibile e non c’è stato nulla da fare se non portare a casa un piano sociale tutto sommato dignitoso”.
“Il dialogo con la casa madre tedesca è stato impossibile e non c’è stato nulla da fare se non portare a casa un piano sociale tutto sommato dignitoso”.
Sandro Estelli, sindacalista
Per Sandro Estelli, la questione va analizzata anche in maniera più ampia: “Che cosa sta accadendo in Lombardia, regione considerata la locomotiva d’Italia? Da questa vicenda usciamo tutti sconfitti, impotenti di fronte ad una multinazionale straniera che, dopo aver sfruttato per bene il territorio, se ne va lasciando un grosso vuoto occupazionale. Senza contare l’eredità paesaggistica di un grosso stabilimento industriale ormai destinato all’oblio”.
Il caso della Gianetti Ruote
Risaliamo in auto e scendiamo una quindicina di chilometri più a sud. Ceriano-Laghetto si trova nella provincia di Monza-Brianza. All’uscita del villaggio ci dirigiamo verso i cancelli della Gianetti Ruote. Qui, dal tre luglio scorso si è insediato un picchetto sindacale. Quando arriviamo, una cucina da campo sforna dei piatti di pasta per gli operai che si danno il “cambio turno”. Di proprietà del fondo tedesco Quantum Capital Partner, la Gianetti Ruote è stata la prima grossa azienda italiana a licenziare da quando, il primo luglio, è scattata la fine del blocco licenziamenti. Ossia di quella misura decretata in piena crisi pandemica dal Governo Conte – e poi prolungata da quello Draghi – la quale ha vietato per 493 giorni i licenziamenti di natura economica sul territorio italiano.
Anche in questo caso, la decisione – comunicata via email – è stata una doccia fredda per i 152 impiegati nello stabilimento brianzolo: “Non ce lo aspettavamo per niente, tanto che avevamo dovuto organizzare le ferie in modo da rientrare prima per potere garantire la produzione visto che la lista degli ordini dei clienti era molto lunga” ci spiega Vincenzo Fragetta, operaio in fabbrica e delegato sindacale per la Fiom. Così come la Henkel a Lomazzo, la Gianetti Ruote è un’istituzione a Ceriano Laghetto: fondata nel 1880 a Saronno, la fabbrica si è stabilita qui da oltre cento anni dando lavoro a centinaia di persone nei comuni a cavallo tra le provincie di Monza-Brianza, Milano e Como. La Gianetti produce cerchioni d’alta gamma per camion e moto: “Siamo gli unici in Europa a produrre cerchi per la Harley Davidson, lo facciamo da trent’anni” ci spiega con una punta di orgoglio Vincenzo Fragetta. Il quale aggiunge: “La stessa casa motociclistica, così come gli altri clienti che aspettano le comande, non sanno cosa fare e sono in grossa difficoltà”.
Qualche anno fa il marchio brianzolo era stato inglobato dal fondo americano Accenture. A seguito dell’acquisto di un altro importante stabilimento in Germania, l’anti-trust europeo aveva imposto agli investitori a stelle e strisce di vendere l’azienda lombarda per evitare di creare una situazione di duopolio sul mercato. Sono così entrati in scena i tedeschi di Quantum Capital Partners che, in tre anni, non hanno fatto nessun investimento e ad inizio luglio hanno informato sulla loro volontà di chiudere.
La proprietà parla di “gravi perdite” e delle difficoltà di confrontarsi a “nuovi concorrenti” che “a causa di diverse condizioni lavorative riescono ad imporsi sul mercato attraverso aggressive politiche di prezzi”. Giustificazioni che fanno imbufalire Stefano Bucchioni, sindacalista della Fiom che incontriamo al presidio: “I risultati aziendali non erano certo tali da giustificare una decisione di questo tipo, che non prevede neppure un tentativo di vendita o lo spostamento dell’attività nell’altro sito del gruppo a Brescia”.
La legge dettata dai fondi esteri
I casi della Henkel e della Gianetti Ruote mostra quanto sta avvenendo in questi mesi nel settore industriale lombardo e, in generale, in quello italiano: aziende locali che finiscono in mano a fondi o gruppi stranieri i quali, senza investire, decidono di chiudere perché l’investimento non rende. “Siamo stanchi di multinazionali che stanno devastando il nostro sistema produttivo è necessario cambiare le regole o le Gianetti si moltiplicheranno” ci spiega sempre Stefano Bucchioni della Fiom.
Quanto avvenuto a Lomazzo e Ceriano Laghetto non sono casi unici. Sempre in Lombardia, epicentro della crisi lavorativa, il colosso farmaceutico israeliano Teva ha annunciato la chiusura di due stabilimenti di Bulciago (Lecco) e Nerviano (Milano). Sono a rischio quasi 400 posti di lavoro. A Villa Caracina (Brescia), la multinazionale americana Timken chiuderà lo stabilimento che produce cuscinetti a rulli per il mercato fuoristrada e ferroviari.
A livello italiano, il caso più importante è quello della GKN Driveline di Campi Bisenzio (Firenze). L’azienda è di proprietà del fondo britannico Merlose il quale, l’8 luglio, ha comunicato – anche in questo caso per email – la chiusura dello stabilimento toscano. Da un giorno all’altro, e senza consultare sindacati e istituzioni, sono così brutalmente state licenziate oltre 400 persone, senza calcolare chi è attivo nell’indotto. Pare che la fabbrica voglia delocalizzare. Un modo di fare che ha generato anche forti reazioni sindacali che, anche con il sostegno di cittadini, artisti, organizzazioni e politici attivi a vario livello, hanno organizzato tutta una serie di azioni e manifestazioni. La stessa Confindustria toscana ha preso le distanze dalle modalità con la quale Merlose ha agito.
Tavoli di crisi
Al Ministero dello sviluppo economico (Mise), guidato dal lombardo Giancarlo Giorgetti (Lega), sono attualmente aperti una novantina tavoli di crisi, con 55’817 posti di lavoro in ballo. La posta in gioco per il futuro occupazionale in Italia è quindi molto alta. Anche se per lo stesso Mise il dialogo con certe proprietà estere che nemmeno si presentano agli incontri appare complicato. Le prossime settimane diranno se la situazione evolverà nel peggiore dei modi o se la ripresa economica annunciata potrà colmare i tagli in settori che sembrano pagare il prezzo maggiore.
“Questi capitali stranieri non hanno interesse nella produzione: vogliono semplicemente far fruttare l’investimento”.
Angelo Mastrandrea, giornalista
Tra questi, senza dubbio, quello della componentistica per il settore dei veicoli (Gianetti Ruote, GKN e Timken), come ci spiega il giornalista Angelo Mastrandrea: “Da una parte questa crisi la si può spiegare proprio con le difficoltà del mercato dell’automobile a cui fanno capo molte delle aziende che hanno licenziato. Si paga il calo delle vendite e si sconta gli errori della ex Fiat che non ha puntato sulle nuove tecnologie e ora si trova in ritardo. Questo mette in luce le criticità del settore in Italia”. Per il giornalista, che in questi mesi ha seguito da vicino diversi fronti di crisi, il problema è dato anche dal potere d’azione dei fondi stranieri arrivati in Italia in questi ultimi anni: “Questi capitali stranieri non hanno interesse nella produzione: vogliono semplicemente far fruttare l’investimento. Fin che possono hanno guadagnato e poi quando l’affare non rende più se ne vanno, senza investire sulla qualità del prodotto. È questo il vero disastro”.
A Firenze, come a Ceriano Laghetto, il timore è che le fabbriche vengano ora smantellate per essere trasferite all’estero. Anche per questo, con il sostegno di cittadinanza e autorità locali, continuano i presidi: “L’abbiamo detto molto chiaramente durante gli incontri: se non verrà ritirata la procedura di chiusura vuol dire che da quell’azienda non uscirà neanche un chiodo» conclude il sindacalista Stefano Bucchioni. La delusione, qui in Brianza, non lascia spazio alla rassegnazione: si spera ancora che qualcuno possa riacquistare la Gianetti Ruote e faccia ripartire le macchine. E con loro la vita di oltre 150 persone.
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