Nicolò Carnimeo, nel suo libro "Come è profondo il mare", lancia l’allarme: "Troppa plastica. Ci stiamo uccidendo da soli"
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“Non è segnalata sulle carte nautiche, né si può avvistare dall’alto o su Google Earth. Eppure è grande quanto un continente, così vicina che basta allungare la mano per toccarla. Dell’isola di plastica fluttuante negli oceani abbiamo avuto notizia dai media, ma non sappiamo cos’è. C’è chi immagina persino che ci si possa camminare o piantare l’asta di una bandiera come sulla Luna“.
Con queste parole Nicolò Carnimeo, insegnante di Diritto della Navigazione e Trasporti all’Università di Bari, ci racconta la sua esperienza. Esperienza che lo ha portato a scrivere un libro-denuncia, “Come è profondo il mare” (chiarelettere, Milano), nel quale descrive la violenza che l’uomo sta facendo, anche inconsapevolmente, a se stesso, utilizzando gli oceani e il mare come discarica.
Un grido d’allarme che abbiamo raccolto, incontrandolo nella sua abitazione di campagna nell’Alto Salento, in Puglia, poco prima del tramonto di una giornata di fine agosto. All’ombra di un bosco di querce e pini, racconta: “Per rendermi conto di cosa fosse ho dovuto navigare fuori dalle rotte convenzionali, fino a quando mi sono ritrovato sull’isola che non c’è, formata da tonnellate di plastica”.
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