LIA, la legge anti padroncini va abrogata con urgenza
Salvo sorprese dell'ultima ora la legge sulle imprese artigianali (LIA), votata quasi all'unanimità dal parlamento ticinese nel marzo 2015, ha i giorni contati.
La normativaCollegamento esterno, adottata soprattutto per frenare l’accesso al mercato ticinese da parte delle ditte italiane, è stata infatti messa in crisi a più riprese dalle sentenze del Tribunale amministrativo cantonale (20 novembre 2017 e 27 febbraio 2018) che ne hanno minato le fondamenta. E l’esecutivo ticinese, che nelle ultime settimane sta subendo crescenti pressioni da parte della Commissione federale della concorrenza (Comco), ha invitato il Gran ConsiglioCollegamento esterno ad abrogare con urgenza le contestate disposizioni.
Comco e sentenze del TRAM
Il regime autorizzativo introdotto nel febbraio del 2016 cui devono sottostare le imprese artigianali che intendono operare in Ticino (obbligo di iscrizione all’albo cantonale e l’adempimento di determinati requisiti) non è risultato conforme al diritto superiore federale, in particolare alle norme che garantiscono la libertà economica e il libero accesso al mercato. E su questa base proprio la settimana scorsa (1° maggio) la Comco, che ha ricordato come i pronunciamenti della corte amministrativa siano “esecutivi”, ha fatto presente a Bellinzona l’illegalità delle richieste di iscrizione formulate alle ditte d’Oltralpe e ha invitato le autorità competenti (Commissione cantonale di vigilanza) a uniformarsi alla nuova prassi.
Già in dicembre, all’indomani della prima sentenza con cui era stata accolta un’opposizione, il governo aveva incaricato i giuristi ad esaminare la questione allo scopo di individuare eventuali correttivi. Ma l’approfondimento giuridico non ha sortito l’esito sperato: le modifiche ipotizzabili difficilmente risolverebbero la questione della compatibilità della LIA con il diritto superiore, sarebbero scarsamente efficaci e soprattutto risulterebbero insostenibili dal profilo finanziario.
Opposizione di partiti e associazioni in Ticino
La conclusione aveva indotto l’esecutivo a consigliare l’abrogazione delle norme sugli artigiani ma erano subito insorti partiti, sindacati e associazioni di categoria (Unione associazioni dell’edilizia). Il Ticino, era stato osservato, è un cantone di frontiera “particolare ed eccezionale”, sottoposto alla forte concorrenza italiana che giustifica interventi in deroga a quanto previsto nel resto del paese. Per questi motivi è stato designato un gruppo di lavoro che a sua volta ha formulato lo scorso 11 aprile alcune proposte di modifica della legge. Ma anche queste, analoghe a quelle identificate in precedenza dai giuristi incaricati dal Cantone, hanno portato alle medesime conclusioni.
A far precipitare gli eventi ha da ultimo provveduto la lettera della Comco della scorsa settimana che ha evidenziato la sostanziale illegalità dell’attuale situazione. Di qui la richiesta odierna del governo cantonale al Gran Consiglio di abrogare con una certa celerità l’intero impianto della LIA. Ma l’imminente revoca delle norme cantonali non risolve certo la questione della concorrenza abnorme delle ditte artigianali provenienti da oltre frontiera che lavorano a prezzi sensibilmente inferiori rispetto alle aziende confederate. Del resto la recente crescita dei lavoratori interinali, sottolinea in una nota Bellinzona, lascia presupporre che i padroncini abbiano potuto aggirare le norme ticinesi facendo assumere i propri dipendenti da imprese locali.
In quest’ottica il Consiglio di Stato ticinese intende adottare misure sostitutive, potenziando i controlli sui cantieri, in particolare attraverso una nuova piattaforma informatica che fotografi in tempo reale le attività nel cantone. Per prevenire abusi e dumping è inoltre previsto un incremento degli ispettori sul campo, sia dell’ufficio cantonale che delle commissioni paritetiche.
“Prima i nostri”
Qualunque siano però gli sviluppi, questa vicenda testimonia ancora una volta le difficoltà di partiti e autorità ticinesi nel gestire il fenomeno del frontalierato su un mercato che comunque, nonostante alcuni disagi sul piano sociale, si fonda anche sull’apporto di questa categoria di lavoratori.
Nello scorso febbraio il progetto d’applicazione dell’iniziativa popolare “Prima i nostri” che intendeva tutelare la manodopera indigena è stata bocciata dal Gran Consiglio ticinese nonostante sia stata plebiscitata alle urne nel settembre del 2016. Anche in quel caso si era posto un problema di compatibilità delle norme ticinesi con il diritto superiore. Ma in questo caso i correttivi sono stati apportati prima che le autorità ticinesi potessero essere bacchettate dai giudici.
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