‘Ndrangheta in Svizzera: sull’asse Basilea-Losanna
Nessun Cantone è risparmiato dalle mafie italiane, la cui presenza è provata da decenni, anche nelle regioni apparentemente meno toccate. È il caso di Vaud e della sua capitale, Losanna, dove vivono parenti stretti di un boss della 'ndrangheta. Reportage dalla Calabria, nella terra della mafia più potente d'Italia e d'Europa.
In Svizzera i nostri sensi non sono ancora abbastanza all’erta, gli esperti in grado di capire e lottare contro la criminalità organizzata sono pochi, e il nostro sistema federalista – con prerogative diverse tra le polizie cantonali – può rendere più complicato lo svolgimento delle indagini. Il problema di fondo, già evocato nell’articolo qui sotto, rimane però l’assenza di percezione del fenomeno mafioso nella società, risultato di un circolo vizioso: disinteresse politico, disinteresse dei media, a favore di forme di criminalità più visibili, e quindi scarsa conoscenza e consapevolezza da parte dell’opinione pubblica.
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Le mafie in Svizzera, un problema anche sociale e legislativo
Per combattere la mafia o perlomeno disturbarla, l’osservazione e la conoscenza del territorio, nonché le attività informative a livello locale, sono strumenti fondamentali. L’Italia può ad esempio contare su una vasta rete di posti di carabinieri, fino nei villaggi più piccoli, ciò che garantisce la presenza di una polizia di prossimità, in contatto con gli abitanti.
Giornalista freelance che vive tra la Svizzera e l’Italia, Madeleine Rossi si occupa da anni di criminalità organizzata italiana.
Nel 2019 ha pubblicato un rapporto sulla presenza delle mafie italiane in Svizzera e nel 2021 il libro “La mafia en Suisse – Au coeur du crime organisé”.
La loro missione consiste essenzialmente nel percorrere il territorio, osservare e sapere, un po’ come i curati di campagna a cui nulla sfugge della vita e dei costumi del loro gregge. Questi carabinieri “di campagna” sono gli occhi e le orecchie dei loro colleghi inquirenti, che talvolta si trovano all’altro capo della Penisola e ai quali basta una telefonata per ottenere un’informazione su un individuo sospettato di avere dei legami con la mafia.
“Ci sono soggetti interessanti da quelle parti”
Un amico inquirente e un ufficiale dei carabinieri ci portano in una piccola località di appena 5’000 abitanti della provincia di Reggio Calabria. L’ufficiale, che conosce perfettamente questa micro-regione e che preferisce mantenere l’anonimato, scopre immediatamente le carte: “È svizzera? Di Losanna? Ci sono soggetti interessanti da quelle parti… e vengono da qui”.
Questo paese, come le due località vicine, sono il feudo di un importante boss mafioso, Rocco Santo Filippone. Protagonista della ‘ndrangheta stragista, Filippone è stato condannato all’ergastolo alla Corte di Assise di Reggio Calabria nel luglio 2020.
Nel corso del nostro reportage abbiamo occasione di discutere pacatamente con diversi pensionati ritornati nel loro paese dopo aver lavorato anni in Svizzera, alcuni a Losanna e nel Canton Vaud, altri a Basilea. E che sanno praticamente tutto. Questi incontri all’angolo di una strada o davanti a un caffè infrangono il mito dell’omertà. In Calabria, se si sa un po’ come fare, la gente parla. A volte tra le righe, ma più spesso a chiare lettere, anche se ciò significa farlo a bassa voce e con aria distaccata.
Il nostro discreto lavoro sul campo continua con le discussioni, sempre tranquille, con i numerosi pensionati che sono tornati nel loro paese dopo anni trascorsi in Svizzera, alcuni a Losanna e nel cantone di Vaud, altri a Basilea, e sanno praticamente tutto. Questi incontri all’angolo di una strada o davanti a un caffè infrangono il mito della cosiddetta omertà: in Calabria, finché si sa come fare, la gente parla. A volte tra le righe, ma più spesso “in plain English”, anche se ciò significa farlo a bassa voce e facendo finta di niente.
Una cinquantina di nomi
In tutto vengono fuori una cinquantina di nomi di personaggi in odore di mafia, che risiedono nella regione di Basilea, altri a Davos, e perfino il titolare di un ristorante alle porte di Ginevra. Ma i nomi più interessanti sono quelli di due parenti stretti del boss Filippone, residenti di vecchia data a Losanna. E quello di un altro uomo, F.M., sospettato dalle autorità italiane di essere il capo della ‘locale’ (la cellula base della ‘ndrangheta) di Basilea, tra l’altro legata alla ‘locale’ di Singen, in Germania.
F.M. è stato avvistato lo scorso giugno in Calabria, guarda caso proprio mentre era presso uno dei figlio di Filippone. Un’altra fonte giudiziaria italiana ci ha informato che lo stesso F.M. ha organizzato una “mangiata” a Basilea, “in autunno o inverno dell’anno scorso”.
La “mangiata”? Più di una semplice cena o di un momento conviviale, è un raduno di mafiosi, un rito che fa parte della vita dell’associazione. Serve a definire le relazioni tra gli uni e gli altri, a integrare i nuovi membri e soprattutto a far vedere chi comanda e assicurarsi della lealtà degli affiliati.
Per quanto riguarda Losanna, se ne è parlato diverse volte durante questa mattinata trascorsa nella campagna calabrese. Una frase è ricorsa più volte: “Tutti trafficano tra Basilea e Losanna”. Senza però ulteriori dettagli, evidentemente difficili da ottenere. In ogni caso, senza essere un vero e proprio baluardo svizzero della ‘ndrangheta come lo era Frauenfeld o come lo è tutt’oggi il Ticino, Losanna sembra essere un importante punto di congiunzione tra la locale di Basilea e Davos – quest’ultima città nel cuore delle Alpi grigionesi è considerata in Italia un importante centro di riciclaggio di denaro e traffico di stupefacenti.
Diversi arresti negli ultimi anni
È importante capire che la famiglia è l’essenza della ‘ndrangheta, e che i legami di sangue condizionano non solo l’appartenenza a questa mafia, ma anche le relazioni all’interno dei clan, gli atti e gli obblighi su entrambi i lati del confine. La parentela è quindi uno di quei “segnali deboli” che devono essere individuati e presi in considerazione, perché implica varie forme possibili di complicità: dal riciclaggio di denaro al traffico di armi e di droga, senza dimenticare il supporto logistico ai “latitanti”, i mafiosi condannati in Italia e che si sono rifugiati in Svizzera. Diversi di questi fuggitivi sono stati catturati nei cantoni del Vallese e di Berna negli ultimi cinque anni, curiosamente tutti beneficiari di un permesso B che non avrebbero mai dovuto ottenere. Un altro esempio recente è quello della sorella di Rocco Anello, il boss coinvolto nell’operazione italo-svizzera “Imponimento” del luglio 2020, che ha portato a diversi arresti e procedimenti penali in Svizzera. Devota alla sua famiglia, la donna era incaricata di riciclare una buona parte del denaro del clan in Svizzera.
Per finire in bellezza questa visita del territorio, l’ufficiale dei carabinieri ci propone un giro fuori paese, in campagna, per farci vedere “un’ultima cosa”: la proprietà di Rocco Filippone, una grossa dimora, “pretenziosa” come si addice a un boss mafioso, circondata da un’alta cinta in ferro battuto (vedi foto). Arriva il momento di salutarci, con una lunga stretta di mani, ringraziamenti e queste parole dei nostri due accompagnatori: “È importante quello che fa, deve parlare della ‘ndrangheta in Svizzera, deve parlarne su libri, sui media, allora… continui a scrivere”.
Discreto riferimento al fatto che, contrariamente agli stereotipi secondo cui la mafia esiste dove vengono commessi atti violenti, fuori dalla Calabria la ‘ndrangheta non ha interesse ad attirare l’attenzione per sentirsi in sicurezza e potere infiltrarsi nel tessuto sociale ed economico. Anche se ciò non esclude fatti di sangue, come quello avvenuto a Duisburg nel 2007, con 6 morti.
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