Nella (ex) fabbrica dei giocattoli del Natale
Per settant’anni la Faro, a Omegna in Piemonte, ha prodotto giocattoli sognati da bambine e bambini di tutto il mondo nei giorni del Natale. Pur avendo chiuso nel 2016, conserva gli esemplari di tutto ciò che ha realizzato dal dopoguerra in poi. Ma oggi questo immenso archivio è a rischio.
Le caffettiere Bialetti, le pentole Lagostina, i piccoli elettrodomestici Girmi, l’oggettistica Alessi firmata dai più importanti designer del mondo. Un tempo, Omegna, cittadina piemontese del Verbano Cusio Ossola, era un polo industriale tra i più importanti a livello globale per quanto riguarda la produzione di casalinghi.
C’erano decine di fabbriche, gli operai erano 15mila: una settantina di loro lavorava in un’azienda che si occupava sì di casalinghi, ma in formato mignon.
Si chiamava Faro e produceva giocattoli. Oggi non li fa più: è chiusa dal 2016. Ma in una piccola ala dell’ex stabilimento è rimasto un patrimonio immenso: gli esemplari di quei giocattoli, migliaia di pezzi che raccontano gli ultimi settant’anni del nostro modo di giocare.
Caro Babbo Natale, quest’anno vorrei un trapano…
Jolly Drill, ai più giovani, probabilmente non dirà molto: a chi era ragazzino negli anni ‘70, invece, il nome non suonerà poi così nuovo: era un trapanino elettrico con seghetto e smerigliatore. “Trafora, fora, lucida e smeriglia”, recitava la pubblicità. Ed era proprio così: quei giocattoli, amati da tanti bambini, erano perfettamente funzionanti.
«Ma nessun bambino si è mai tagliato un dito con i nostri attrezzi» puntualizza con orgoglio Laura Ruschetti, nipote del fondatore della Faro, Remo, e figlia di Sandro che ha guidato l’azienda dal 1972. Giocavano a fare i grandi, nel senso che imitavano i propri papà nelle attività del fai da te, ma non lo facevano da soli: fino a pochi anni fa, prosegue Ruschetti, giocare era un momento di condivisione tra adulti e piccini.
Lo stesso principio, naturalmente, valeva per bambine e ragazzine, abituate fin dalla più tenera età a osservare, e a cercare di replicare, le attività domestiche che per molto tempo sono state svolte in modo pressoché esclusivo dalle donne, come la gestione della cucina e della casa. Ed ecco quindi che, dai cataloghi della Faro degli anni ‘60 e ‘70, saltano fuori piccoli elettrodomestici, servizietti caffè e cucine monoblocco.
Erano tempi diversi, spiega Ruschetti, nei quali vigeva una netta separazione tra il gioco maschile e quello femminile, riflesso della cultura che assegnava ruoli distinti alle donne e agli uomini. Le cose, fortunatamente, sono cambiate verso la fine del secolo scorso: tali differenze sono andate scemando e ciascuno ha potuto giocare con ciò che preferiva, così come scegliere la propria strada professionale nella vita.
Giocattoli per fidelizzare i clienti del futuro
Passeggiare in ciò che rimane della fabbrica della Faro significa perdersi nei ricordi e scoprire tutto d’un fiato la storia del casalingo di quest’angolo di Piemonte. La linea di giocattoli prodotti dalla Faro, infatti, ha sempre mantenuto uno stretto legame con le aziende di Omegna che producevano i veri e propri casalinghi: per anni ha miniaturizzato caffettiere, frullatori, bollitori e pentole firmate dalle aziende della zona; in un secondo momento, poi, ha cominciato a riprodurre fornelletti, lavastoviglie, aspirapolvere e centinaia di altri pezzi su richiesta dei marchi più importanti, non soltanto italiani.
«Ce lo chiedevano perché desideravano fidelizzare i clienti fin da bambini, era un modo per educarli al marchio, sperando che una volta cresciuti avrebbero optato per quei brand di cui ricordavano i giocattoli» racconta Laura Ruschetti.
La crisi del nuovo millennio
Ancora nel 2013-2014, Faro ha venduto i suoi giocattoli in sessanta paesi del mondo, dall’Angola all’Ungheria, passando per Cipro, India e Nuova Caledonia, oltre naturalmente a tutti i più importanti mercati europei e l’Australia. Ma il declino era già cominciato.
«Negli anni ‘80 il giocattolo è stato, insieme al tessile, uno dei primi prodotti a venire copiato in Cina – spiega Ruschetti -. Piattini e tazzine, quello che ai tempi era il settore rivolto alle bambine, arrivavano uguali ai nostri, ma erano imitazioni».
Da lì la necessità di differenziarsi, di puntare su prodotti più grandi e dunque più difficili da imitare perché più costosi da trasportare da una parte all’altra del mondo. Dimensioni maggiori, però, significano costi enormemente superiori, anche in termini di magazzini dove stoccare la merce: «Ci siamo dovuti ingrandire e siamo arrivati a occupare una superficie di 23.000 metri quadrati».
E poi, puntualmente, le copie arrivavano comunque: «Esasperati da questa situazione, intorno al 2005 abbiamo intentato tre azioni legali contro altrettanti importatori di giocattoli copiati provenienti dalla Cina. Il risultato? Abbiamo vinto le tre cause, ma abbiamo perso tre clienti: quegli importatori, infatti, erano anche i distributori in Italia dei giocattoli della Faro».
La decisione di chiudere, dovuta anche all’embargo alle esportazioni verso l’importante mercato russo, alle mutate abitudini di gioco dei più giovani e alle difficoltà finanziarie attraversate negli ultimi anni, è arrivata nel 2016. La storia del giocattolo che da Omegna viaggiava per il mondo, al momento, si trova in un capannone grosso un migliaio di metri.
Ma nei prossimi mesi anche quello spazio dovrà essere sgomberato e venduto. Il sogno è quello di creare un museo del giocattolo nella cittadina del Cusio, ma se ne parla da un paio d’anni e le cose ancora non si sono concretizzate. Che fine faranno i Jolly Drill, le cucine Cookie Star e le macchine da caffè Baby Gaggia?
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