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Tracciabilità alimentare, il futuro è nella blockchain

Un banco frutta-verdura verticale, con sei ripiani e una mezza dozzina di celle per piano; sacchetti sulla sx, bilancia a dx
In futuro, le etichette col prezzo potrebbero riportare anche un codice QR che permette al consumatore di leggere la "storia" dell'ortaggio (immagine d'archivio). Keystone

Mentre il sud della Svizzera si attrezza per diventare un nuovo polo delle criptovalute, una start-up del nord Italia lavora dal 2012 ad applicazioni della 'blockchain' in altri settori, puntando in particolare sull'alimentare.

La blockchain, tecnologia di cui sentiamo parlare spesso dall’introduzione del bitcoin, è come un libro mastro, un registro che tiene traccia di tutte le operazioni in una certa rete. Si aggiorna in modo sicuro ed è condiviso: tutti i partecipanti ne hanno una copia.

A dispetto della cattiva fama della criptovaluta (spesso impiegata per affari illeciti, poiché il possesso di bitcoin non obbliga a registrarsi con nome e cognome) la blockchain è quindi di per sé il massimo della trasparenza: tutti vedono le transazioni.

Da qui, l’idea di applicarla (adattandola) alle filiere alimentari. Ognuno degli anelli della catena (contadino, intermediari, trasportatore, rivenditore) aggiunge alla catena stessa delle informazioni sul prodotto, che non possono essere alterate da chi viene dopo.

Storia di un pacchetto di caffè

Per capire come funziona, prendiamo ad esempio il primo cliente della start-up FoodchainCollegamento esterno: una marca di caffè speciali torrefatti in Val di Susa. Sulla confezione è stampato un codice QR, che il consumatore può leggere col suo telefonino.

Gli appare, come in un diario multimediale, la storia dei chicchi che ha tra le mani.

Per prima cosa, l’agricoltore di São Tomé ha registrato, associandole al codice che identifica univocamente quel prodotto, alcune informazioni: dove e quando è stato raccolto; quando è stato lavato.

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La cooperativa, oltre a raccogliere il caffè e prepararlo per il viaggio, certifica -con la sua firma digitale- che proviene da uno dei 12 produttori riconosciuti dal presidio Slow Food, mentre lo spedizioniere prepara i documenti per l’esportazione e li aggiunge al “file”.

Durante la traversata in nave, alcune informazioni (come la temperatura e l’umidità del container) sono iscritte automaticamente nella blockchain, alla quale si aggiungono anche i risultati delle analisi del caffè effettuate in funzione dello sdoganamento.

All’arrivo, c’è ancora un passo da compiere: la torrefazione. Dopo aver tostato il caffè crudo, l’esperto lo prova e compila una scheda di degustazione (anche questa viene registrata) e infine lo confeziona indicando data e ora.

Cosa cambia?

Che la tracciabilità dei prodotti agroalimentari sarà in futuro affidata alla blockchain, lo ha dichiarato il fondatore di Slowfood Carlo Petrini in un incontro pubblico all’Università della Svizzera italiana lo scorso aprile.

Ma perché? Cosa cambia, rispetto a oggi? 

I punti di forza sono la superfluità di un ente certificatore, la possibilità di integrare informazioni ricevute da sensori, fotocamere, droni e simili, e l’impossibilità di alterare i dati, poiché la blockchain usa la crittografia e tiene traccia di ogni modifica.

Marco Vitale -39 anni, CEO di Foodchain, intervista nel video sopra- anticipa che la prossima “frontiera” è quella della ricetta certificata.

Alla tracciabilità delle materie prime, si aggiungeranno le informazioni dalla cucina (ad esempio la curva di temperatura del forno), l’analisi nutrizionale (effettuata da un medico) e la ricetta storica (certificata da un ente culturale).

A tutto questo, il cliente accede scansionando il codice QR che troverà sul conto del ristorante. Per altri tipi di prodotto (ad esempio, i tessili), al posto del QR si possono impiegare etichette di tipo NFC o RFID: basta avvicinare il telefonino per leggere il codice.

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Foodchain ha sede al polo tecnologico Como Next di Lomazzo. Conta una decina di collaboratori, in parte dislocati a i3p (l’incubatore di start-up del Politecnico di Torino).

Una volta impostata, va da sola

Le “catene” di Foodchain sono diverse da quelle delle criptomonete. In particolare, poiché non tutto il contenuto della piattaforma è reso pubblico. Le informazioni sono classificate in 3 livelli: completamente pubblico, completamente riservato (segreti industriali) e condiviso (tra determinati attori).

Quel che non cambia, è che una volta impostata la blockchain con i suoi partecipanti, le sue periferiche (sensori, camere) e i suoi smart contract (automatismi), la catena non necessita più di interventi da parte di Foodchain.

Prossime frontiere

“Siamo appena stati in Regione Sicilia perché vorrebbero adottare l’infrastruttura per certificare prodotti locali”, ci ha detto Marco Vitale alla fine dell’incontro.

Nuove sperimentazioni sono già previste in settori diversi dall’agroalimentare, e cioè in ambito tessile e dell’industria automobilistica.

Foodchain è stata tra le prime ad avere l’intuizione di sfruttare la blockchain per la tracciabilità alimentare: ci lavora dal 2012, da quando bitcoin era quasi sconosciuto.

Nel frattempo, però, anche grandi aziende multinazionali si sono impegnate in questo campo. IBM ha costituito un consorzio con grandi operatori dell’industria alimentare quali Nestlé e Unilever e conduce un progetto pilota con i supermercati Walmart negli Stati Uniti e in Cina.

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