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Nucleare, tra promesse e realtà

La centrale atomica svizzera di Beznau.
La centrale atomica svizzera di Beznau. Keystone/Alessandro Della Bella

"Fusione" e "trasmutazione" sono le parole del momento, complici le crisi energetica, climatica, geo-politica e la guerra. Le interviste agli esperti, tra favorevoli e contrari.

Un nucleare più efficiente, meno pericoloso e con meno scorie radioattive. Per fare dimenticare disastri come quelli di Chernobyl e Fukushima. La promessa arriva (anche) da “fusione” e “trasmutazione”, le due parole del momento.

La fusione è tornata sulle pagine dei media il 9 febbraio 2022, con l’annuncio dell’Eurofusion di aver raddoppiato (59 megajoule) la produzione di energia. Record per il settore. La fusione degli atomi, a differenza della tecnologia nucleare che conosciamo oggi (la fissione), promette di ridurre ai minimi termini la radioattività, di non generare incidenti catastrofici (con un aumento incontrollato della potenza del reattore), di non emettere gas serra.

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“Nel campo della fusione si stanno facendo progressi molto, molto grandi”, spiega ai microfoni della RSI la professoressa Annalisa Manera, fisica nucleare (Nuclear Safety & Multiphase Flows all’ETH di Zurigo). “Purtroppo – spiega – al momento ci sono due problemi: uno è quello della stabilità del plasma. Il 9 febbraio è stato stabilito un record: sono riusciti a mantenere il plasma stabile per 5 secondi, ma, in realtà, noi vogliamo produrre elettricità 24 ore su 24, 7 giorni alla settimana, 365 giorni all’anno. Cinque secondi (in relazione alla vita reale), sono ancora un tempo molto basso. Però i progressi si stanno facendo: due anni fa eravamo a millisecondi, ora siamo a 5 secondi (un fattore di mille superiore), quindi i passi da gigante ci sono. Il secondo problema è che, al momento, dobbiamo immettere nel reattore più energia di quanto ne riusciamo a ricavare. Di conseguenza la strada è ancora lunga”.

La fusione è ancora lontana dalla meta, come lontana è anche l’altra tecnologia su cui si punta oggi: la trasmutazione, il riutilizzo delle scorie delle attuali centrali a fissione come combustibile. Una sorta di “riciclaggio”, che ridurrebbe la massa dei rifiuti radioattivi grazie alle nuove centrali “a trasmutazione” che, però, sono ancora in fase di progettazione. Progetti sui quali sono impegnate diverse start-up (tra cui una anche a Ginevra, la Transmutex).

“La trasmutazione, dal punto di vista teorico (e anche in laboratorio), funziona. Il problema è sviluppare un reattore che possa utilizzare questo combustibile in maniera sicura e sostenibile. Su questo si sta ancora lavorando perché, al momento, per esempio, non esiste un acceleratore abbastanza grande da poter essere associato a questo tipo di reattore”, sottolinea la professoressa Annalisa Manera.

Trasmutazione tra vent’anni, la fusione dopo

Insomma, tra fusione e trasmutazione, tanto resta da fare, ma quale tecnologia raggiungerà prima l’obbiettivo?

“È più vicino l’obbiettivo della trasmutazione, rispetto a quello della fusione – riconosce  la professoressa Manera -. Perché, nel caso della trasmutazione, conosciamo già tutta ‘la fisica’, e quindi dobbiamo risolvere semplicemente alcuni problemi tecnici. Nel caso della fusione, invece, dobbiamo ancora risolvere problemi di fisica, a cui poi si aggiungono quelli tecnologici (una volta che “la fisica” sia stata completamente risolta)”.

E per entrambe le tecnologie, la messa in campo è lontana. “Direi per la trasmutazione fra una ventina d’anni e per la fusione di più”, conclude Annalisa Manera.

Le nuove tecnologie non risolvono i problemi di oggi e, per economisti come il professor Massimo Filippini (USI-ETHZ), specializzato nel campo dell’economia e politica dell’energia, non lo può neppure il nucleare tradizionale.

“Forse in futuro ci sarà una tecnologia nucleare promettente, interessante, che risolve tutti i problemi. In questo caso è chiaro che sarà una tecnologia da valutare attentamente, ma attualmente non siamo in questa situazione. Oggi noi dobbiamo fare attenzione a non farci distrarre dall’obiettivo principale. Io penso che per raggiungere la trasformazione del nostro sistema energetico e renderlo sostenibile dobbiamo puntare sul solare fotovoltaico. Chiaramente le attuali centrali nucleari dovranno aiutarci in questa transizione energetica. Non penso che ci siano i tempi e le tecnologie siano mature per pensare, adesso, di costruire nuove centrali nucleari in Svizzera. Ci sono dei tempi di costruzione molto lunghi, sicuramente più di 20 anni; ci sono dei costi di produzione che sono superiori ai costi di produzione di grandi impianti fotovoltaici e c’è il problema delle scorie radioattive, che non è ancora stato risolto”, spiega Filippini.

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