Obbligare il personale sanitario a testarsi era legittimo
Chi tra i dipendenti dell'Ente ospedaliero non era vaccinato o guarito dal Covid, in Ticino, ha dovuto sottoporsi periodicamente a test. Ora il Tribunale federale ha stabilito che è stata una misura lecita.
L’obbligo di test anti-Covid-19 periodici imposto dal Governo ticinese per il personale non vaccinato delle strutture sanitarie e sociosanitarie è legittimo, ha stabilito il Tribunale federale (TF).
Secondo i giudici di Losanna, alla luce della situazione a quel momento, l’ingerenza nei diritti fondamentali degli interessati è proporzionata.
Ne ha parlato il Quotidiano raccogliendo le reazioni dell’Ente ospedaliero cantonale e del Cantone stesso:
In una sentenza emessa lo scorso 12 dicembre e pubblicata oggiCollegamento esterno, il TF respinge il ricorso inoltrato da 32 privati contro la risoluzione dell’Esecutivo cantonale dell’8 settembre 2021. Il Tribunale amministrativo del Cantone Ticino aveva trasmesso per competenza il ricorso al Tribunale federale.
Creare un precedente
Considerato che, alla fine di marzo dello scorso anno, la risoluzione è stata revocata, attualmente non sussiste più alcun interesse attuale e pratico a evadere il ricorso. Ciononostante, la suprema corte federale lo ha comunque trattato sotto il profilo materiale, perché solleva alcune questioni di principio che potrebbero ripresentarsi e il cui controllo giudiziario tempestivo sarebbe difficilmente possibile, scrive il TF in un comunicato che accompagna la sentenza.
Disparità di trattamento
L’obbligo di depistaggio periodico si rivolgeva ai collaboratori privi di un certificato Covid valido che erano a contatto stretto con pazienti degli ospedali, delle cliniche, delle case per anziani e di cura, degli istituti per invalidi, dei servizi di assistenza e cura a domicilio, dei centri diurni terapeutici e socio-assistenziali per anziani e per invalidi nonché delle strutture residenziali per tossicodipendenti.
L’obbligo di test per il personale sanitario privo di certificato Covid crea una disparità di trattamento rispetto all’organico vaccinato o guarito e comporta una grave ingerenza nella libertà personale e nel diritto al rispetto della vita privata, ha ammesso il TF. Queste ingerenze sono tuttavia state ritenute giustificabili nel quadro della situazione specifica.
Innanzitutto, il provvedimento è retto da una base legale sufficiente (in particolare l’articolo 40 della Legge sulle epidemieCollegamento esterno), che ammette espressamente provvedimenti anche più severi. Inoltre la disparità di trattamento è giustificata dall’interesse pubblico di proteggere le persone particolarmente vulnerabili residenti nelle strutture sanitarie.
“Rischio accettabile” e non “rischio zero”
Il TF ha già stabilito in passato che le autorità dispongono di un margine di apprezzamento relativamente ampio nell’adozione di misure in una situazione di crisi sanitaria, tanto più che devono prendere decisioni sulla base delle conoscenze scientifiche del momento, che spesso sono parziali e limitate.
Per i giudici di Losanna, il governo ticinese ha tenuto conto del fatto che, sebbene secondo lo stato delle conoscenze del momento fosse appurato che anche le persone vaccinate potevano trasmettere il virus, il rischio di infezione, nelle persone vaccinate, era ridotto.
A questo riguardo, il TF ribadisce che, quando dispongono un dato provvedimento, le autorità devono valutarne la proporzionalità alla luce di quello che considerano un “rischio accettabile” e non un “rischio zero”. La risoluzione del governo ticinese ha inoltre permesso di evitare l’introduzione di obblighi generalizzati.
I supremi giudici fanno anche notare che a chi non era in possesso di un certificato Covid non è stato negato l’accesso al posto di lavoro, ma è stata imposta un’esigenza supplementare, tutto sommato non troppo invasiva e che d’altronde non comportava alcun costo. Infine, afferma il TF, la risoluzione è da considerarsi proporzionata anche dal punto di vista della sua durata.
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