Ocse, “in Italia si andrà in pensione a 71 anni”
Mentre le pensioni sono un oggetto di costante dibattito – come in questi giorni – alle Camere federali a Berna, l'Ocse fa sapere che gli italiani che entrano oggi nel mondo del lavoro potranno godere dell'agognata quiescenza solo all'età di 71 anni.
Dopo di loro (al pari dei lavoratori estoni e olandesi), in Europa, vengono solo i danesi. Attualmente invece l’età prevista per la cessazione dell’attività professionale nel Belpaese (61,8) è sotto la media Ocse (63).
A fotografare la situazione e illustrare lo scenario futuro è il nuovo Rapporto dell’Ocse sul sistema pensionistico che illustra come negli ultimi due anni l’impatto drammatico della pandemia sia stato assorbito dai governi che hanno tutelato i pensionati e il diritto alle pensioni future.
Invecchiamento della popolazione
La sfida principale dei prossimi decenni sarà per tutti mantenere un sistema sostenibile di fronte all’invecchiamento della popolazione. Si prevede infatti che la popolazione in età lavorativa diminuirà di oltre un quarto entro il 2060 nella maggior parte dei paesi dell’Europa, in Giappone e Corea e per garantire solidità al sistema, avverte, saranno necessarie “dolorose decisioni politiche”.
Per far fronte all’evoluzione demografica l’età pensionabile normale aumenterà di circa due anni in media in tutta l’Ocse entro la metà degli anni 2060: l’età media di pensionamento futura sarà di 66 anni (con le donne che manterranno un’età pensionabile normale più bassa rispetto agli uomini in diversi Paesi).
Il caso italiano
In Italia si arriverà alla pensione a 71 anni per effetto del regime introdotto nel 1995 che adegua le prestazioni pensionistiche all’aspettativa di vita e alla crescita e sarà pienamente efficace solo intorno al 2040.
In quest’ottica sarà fondamentale l’equilibrio tra invecchiamento della popolazione e crescita dell’occupazione: nel 2050 infatti ci saranno nella penisola 74 persone di età pari o superiore a 65 anni ogni 100 persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni, uno dei rapporti più alti dell’Ocse.
Negli ultimi 20 anni, la crescita dell’occupazione, anche attraverso carriere più lunghe, ha compensato più della metà della pressione dell’invecchiamento demografico sulla spesa pensionistica che comunque è aumentata del 2,2% del PIL tra il 2000 e il 2017.
Il sistema comunque non potrà rimediare a profonde disparità tra i diversi trattamenti: per i lavoratori autonomi si prospetta un futuro con pensioni più basse del 30% rispetto a quelle di un dipendente con la stessa anzianità contributiva, a fronte di una media Ocse che è del 25%.
Situazione sperequata soprattutto a causa di Quota 100
Negli ultimi anni una serie di provvedimenti – a partire da Quota 100 – hanno permesso certamente un’uscita anticipata dal mercato del lavoro ma a caro prezzo, sottolinea il rapporto, che rileva come nel 2019 la spesa pensionistica pubblica dell’Italia si sia collocata al secondo posto tra le più alte dei Paesi dell’Ocse, pari al 15,4% del Pil.
Quota 100 infatti ha permesso di andare in pensione a 62 anni, vale a dire in anticipo di cinque anni rispetto all’età pensionabile prevista dalla legge (con 38 anni di contributi). Un’eccezione prevista oltre che in Italia, solo in Spagna con meno di 40 anni di contributi. Il Belgio richiede 42 anni, la Francia 41,5 anni e la Germania 45 anni. Nel 2020 l’età media della pensione tra le più alte è a 67 anni in paesi come Norvegia e Islanda e la più bassa in Turchia (52 anni).
Da ultimo va sottolineato che in media, nell’Ocse, le persone di età superiore ai 65 anni ricevono l’88% del reddito medio disponibile ma le differenze sono sensibili. In Estonia, Corea, Lettonia e Lituania viene versato ai pensionati il 70% o meno del reddito mentre in Costa Rica, Francia, Israele, Italia, Lussemburgo e Portogallo la rendita è pari al 100% o più.
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Se volete segnalare errori fattuali, inviateci un’e-mail all’indirizzo tvsvizzera@swissinfo.ch.