Quando immaginare è un mestiere
È in corso a Chiasso, con la decima Biennale dell’immagine, una mostra antologica del fotografo italiano Oliviero Toscani. È la prima in Svizzera, paese della sua formazione, e si intitola 'Immaginare'.
“Sono ancora vivo. Di solito, quando si fan ‘ste robe qua, vuol dire che uno è morto”.
L’allestimento al m.a.x. museoCollegamento esterno si concentra più di altro sul tema della multiculturalità ed è fatto di pagine di giornale e immagini proiettate, più che di fotografie incorniciate e appese al muro.
“Tutto ciò che si può vedere in quest’esposizione è pubblicato”, chiarisce Toscani, intervistato dal magazine della Radiotelevisione svizzera TurnéCollegamento esterno. “Sono riproduzioni di ciò che è stato pubblicato quindi non mi interessa la qualità della stampa o il tipo di carta, sono solamente immagini”.
Ma perché ‘immaginare’ e non, ad esempio, ‘documentare’? “Immaginare significa scegliere, attorno, quello che succede e poi mettere per immagine ciò che uno vuole interpretare. Tutto qui.”
Tutto qui. Eppure più di una volta il lavoro di Toscani ha sollevato putiferi. “L’immagine è soltanto la documentazione delle realtà che ci circondano”, commenta. “Alla gente basta scandalizzarsi di ciò che vede in un’immagine, per togliersi la responsabilità di ciò che succede nel mondo.”
Due parole sulla sua formazione: Oliviero Toscani, nato a Milano nel 1942, ha studiato fotografia alla Kunstgewerbeschule di Zurigo.
“Ancora adesso io sono in vantaggio sui miei colleghi perché ho fatto questa scuola svizzera, di sicuro. Conosco tutta la tipografia, mi piacciono le lettere e i caratteri, l’architettura dell’immagine, mettere insieme l’immagine. I miei insegnanti erano tutti vecchi bauhaus.”
Oliviero Toscani, ‘Immaginare’, è al m.a.x. museo di Chiasso fino al 21 gennaio.
Certamente noto per le sue campagne pubblicitarie, Toscani ha lavorato come indipendente per testate internazionali quali Elle, Vogue, GQ, Esquire, Stern e Libération.
“C’è anche una responsabilità del fotografo per ciò che fotografa, perché è quel che verrà ricordato. Da quando c’è la macchina fotografica esiste la storia, prima non è sicura.”
Particolarità dei suoi ritratti, quasi tutti i soggetti guardano in camera. E questo, dice, lo ha portato a essere “più preparato di qualsiasi psichiatra”.
“Ormai guardo in faccia una persona e so com’è. Bene o male, so com’è, e tante volte è anche imbarazzante.”
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Se volete segnalare errori fattuali, inviateci un’e-mail all’indirizzo tvsvizzera@swissinfo.ch.