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Operai e operaie diventati di colpo “solo” migranti 

Il regista Samir a Locarno in una foto del 2019.
Il regista Samir a Locarno in una foto del 2019. Keystone

Il cineasta svizzero-iracheno Samir presenta a Locarno il suo film La prodigiosa trasformazione della classe operaia in stranieri. Pellicola in cui ha raccolto documenti e testimonianze di cosa hanno vissuto i migranti e le migranti – soprattutto quelli italiani – pochi decenni fa in Svizzera.

Una sorta di “apartheid silenziosa” rievocata con testimonianze, scene di film e servizi giornalistici, interviste, immagini d’archivio, sulla vita delle immigrate e degli immigrati (soprattutto italiani) arrivati in Svizzera negli anni ’60. Tutto ciò è stato raccolto dal regista iracheno/svizzero Samir nella sua pellicola La prodigiosa trasformazione della classe operaia in stranieri, che debutta fuori concorso al Locarno Film Festival.  

“Il lavoro di ricerca è durato tre anni”, spiega il cineasta. “La mia squadra di collaboratori e collaboratrici è giovane e molti di loro non sapevano nulla di quanto accaduto. Mi ha sorpreso quanto queste storie siano state dimenticate. Il motivo principale credo sia legato al fatto che molte immigrate e immigrati italiani non vogliono più parlare di quanto vissuto, preferiscano lasciarlo nel passato”. 

I figli degli stagionali negli armadi  

Una sfera sociale, quella del film non fiction, unita a quella personale che coinvolge lo stesso cineasta.  

Il film inizia infatti come una fiaba animata: quella di un bambino iracheno che arriva nel Paese della madre dopo essere fuggito con la famiglia da quello del padre, militante comunista malvisto dal regime. 

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Nato a Baghdad, Samir è infatti arrivato in Svizzera con la famiglia negli anni ’60, e nel film ha raccontato anche alcuni episodi biografici di quegli anni. Un percorso che l’ha fatto diventare prima testimone e vittima di episodi di razzismo, e poi compagno di lotta nelle battaglie sociali quotidiane degli immigrati. 

Un mondo, quello del documentario, che passa, tornando a 60 anni fa, per i figli dei migranti “stagionali” che si dovevano nascondere in casa senza poter uscire o affacciarsi alla finestra (i cosiddetti bambini-armadio). Tutto ciò a causa del divieto di ricongiungimento familiare in vigore in passato. 

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Dall’iniziativa Schwarzenbach in poi 

Il razzismo sociale era proprio di molti politici dell’epoca. Tanto che nel 1970 è stata lanciata l’iniziativa Schwarzenbach “contro l’inforestierimento” – bocciataCollegamento esterno di misura – che chiedeva di limitare le straniere e gli stranieri al 10% della popolazione. Una proposta che avrebbe portato all’espulsione di oltre 300’000 persone immigrate.  

Nello stesso decennio inizia però a soffiare anche un vento di cambiamento, con migranti in grado di unirsi e organizzarsi a livello sociale e sindacale. 

La svolta arriva negli anni ’80, quando l’italianità, tra vestiti e cibo, diventa sempre più di moda, fino a conquistarsi ampio spazio nello stile di vita della popolazione svizzera.  

La pellicola approda infine all’oggi in cui, verso le persone migranti di altri Paesi, si ripetono molti degli stessi errori e delle stesse prevaricazioni (anche in Italia, come viene ricordato con una parte dedicata alla rivolta dei braccianti a Rosarno, in Calabria). 

La speranza nelle nuove generazioni 

Quest’ultimo “è uno dei punti al centro del film. A livello globale, è come se non avessimo imparato la lezione, continuiamo a escludere – sottolinea Samir -. Oggi la Svizzera è un Paese profondamente cambiato, è un luogo dove convivono in armonia più culture. Ma, ad esempio, ci sono leggi che limitano fortemente la possibilità di essere naturalizzati”. 

La speranza per il cineasta “è nelle nuove generazioni che sono molto attive nei temi sociali, lo vedo anche in mia figlia”.

Tra i protagonisti, anche lo storico Ricciardi 

Nel ruolo dsi sé stesso, il documentario vede apparire anche Toni Ricciardi, storico dell’Università di Ginevra e, da due anni, anche deputato al Parlamento italiano, eletto nel collegio estero europeo. 

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Dall’opera di Samir, dice Ricciardi in un’intervista al Corriere del Ticino, emerge chiaramente in che modo “la classe operaia, soprattutto quella italiana, abbia contribuito al benessere e alla spinta economica della Svizzera, uno dei Paesi che nel secondo dopoguerra ebbe una crescita di prodotto interno lordo maggiore rispetto al consesso europeo. In parte, per ovvie ragioni geopolitiche, avendo un impianto industriale intatto e non colpito dal conflitto mondiale. E in parte perché riuscì a ritardare la propria rimodulazione industriale fino alla metà degli anni ’70, quando anche qui iniziarono ad arrivare le avvisaglie della crisi petrolifera”. 

“Credo che La prodigiosa trasformazione della classe operaia in stranieri sia un film da vedere – dice ancora Ricciardi – perché racconta un pezzo autentico, reale di vita della working class, e perché dà voce a molti protagonisti diretti: sindacalisti, ricercatori, giornalisti”. 

Ricciardi ricorda infine come l’emigrazione sia un tema ricorrente del cinema italiano del dopoguerra. Ma lo è anche di quello elvetico e il ricercatore cita Siamo italiani (1964) diretto da Alexander J. Seiler, “uno dei primi documentari in cui si parla soprattutto della clandestinità dei minori. E tutto il filone del cineclub delle colonie libere con Alvaro Bizzarri e i suoi indimenticabili Il treno del Sud (1970), Lo Stagionale (1973), Il rovescio della medaglia (1974), Pagine di vita dell’emigrazione (1977), pellicole considerate forse a torto più di nicchia rispetto ad altre”. 

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