L’app di tracciamento del coronavirus: Big Brother o strumento efficace?
Nell'era de-confinamento, il tracciamento del coronavirus sarà effettuato in modo digitale. L'app svizzera per rilevare le contaminazioni dovrà però poggiare su una base giuridica, stando a quanto deciso martedì dal Parlamento. Mentre alcuni considerano questo strumento una promessa per tornare a una vita normale, altri mettono in guardia contro un dispositivo liberticida, la cui efficacia lascia a desiderare.
L’Europa sta gradualmente cominciando a uscire dal coma artificiale in cui è stata indotta per contenere la pandemia di Covid-19. Per accompagnare il de-confinamento ed evitare una seconda ondata di contaminazione, in tutti i paesi si stanno sviluppando applicazioni per rintracciare il virus attraverso gli smartphone dei cittadini. Tuttavia, queste app suscitano molti interrogativi tra la popolazione e in seno alla stessa comunità scientifica.
L’app svizzera DP-3TCollegamento esterno, sviluppata dai politecnici federali di Losanna e Zurigo, sarà lanciata la settimana prossima a titolo sperimentale in una fase pilota. Il suo uso sarà facoltativo. Se decidete di scaricarla, l’app utilizzerà il Bluetooth per misurare la distanza tra voi e gli altri utenti. Non vi sarà nessuna geolocalizzazione e l’intero processo sarà anonimo. Vi sarà semplicemente notificato se siete stati a stretto contatto (a meno di due metri di distanza per almeno 15 minuti) con qualcuno che è risultato positivo al test Covid-19. Il sistema funziona in modo decentralizzato, ossia i dati non vengono memorizzati su un unico server.
Ecco nel grafico come funziona il tracciamento di prossimità con l’app Swiss PT:
Nessuna app senza base giuridica
In Parlamento, alcuni hanno espresso dubbi sulla tutela della privacy. Martedì, durante la sessione speciale dedicata alla pandemia, i deputati hanno accolto una mozioneCollegamento esterno che chiedeva la creazione di una base giuridica che ne accompagnasse il lancio e ne limitasse i rischi. “Dobbiamo evitare, ad esempio, che le imprese o le istituzioni chiedano ai loro clienti o ai loro visitatori di usare l’applicazione”, ha argomentato Damien Cottier, consigliere nazionale del Partito liberale radicale (PLR/destra).
“Dobbiamo evitare, ad esempio, che le imprese o le istituzioni chiedano ai loro clienti o ai loro visitatori di usare l’applicazione”. Damien Cottier
Affinché questo strumento sia efficace, deve essere utilizzato quotidianamente da un numero considerevole di persone. Si parla spesso di un tasso di penetrazione del 60%, simile a quello di WhatsApp, l’app più popolare in Svizzera. “Questo rende ancora più importante stabilire una solida base su cui costruire la fiducia del pubblico”, ha aggiunto Damien Cottier. Alcuni epidemiologi, tuttavia, ritengono che un tasso di utilizzo del 20-30% contribuirebbe già a contenere la pandemia.
Considerando che si dovesse procedere “il più velocemente possibile”, il governo riteneva che il progetto potesse fare a meno di una base giuridica specifica. “Solo il medico curante e il centro cantonale incaricato di ritracciare i contatti conoscono l’identità della persona infetta. Inoltre, solo loro possono autorizzare una persona contagiata a segnalare l’infezione al sistema in forma anonima, trasmettendo un codice di autorizzazione”, aveva sottolineato il Consiglio federale nella sua presa di posizione.
“Meglio lasciar perdere”
Le argomentazioni del governo non sono però sufficienti a convincere alcuni esperti del settore. Solange Ghernaouti, docente all’Università di Losanna ed esperta internazionale di sicurezza informatica, è tra gli scettici. Accoglie con favore la decisione del Parlamento di creare una base giuridica per “porre un freno ad eventuali usi abusivi dell’app”. “L’elaborazione di una legge – prosegue – permetterà di aprire un dibattito tra i cittadini sul ruolo della tecnologia digitale nella ricerca di soluzioni a problemi concreti”.
“Nessun paese ha trovato l’app miracolosa o ne ha dimostrato l’efficacia. In queste condizioni, sarebbe meglio non utilizzarla”. Solange Ghernaouti
Tuttavia, una base giuridica non è necessariamente una panacea, avverte Solange Ghernaouti. “Non c’è garanzia che il sistema non venga violato. Inoltre, sarà interessante cercare di farlo, perché sappiamo che i dati relativi alla salute valgono oro”, commenta. Rompere l’anonimato richiede certe competenze, ma l’esperta è sicura che coloro che ci proveranno, incrociando le informazioni ci riusciranno. Anche il marchio “Swiss Made” non è una garanzia di sicurezza, osserva Ghernaouti, ricordando che il sistema svizzero è stato sviluppato da un consorzio internazionale. “Nessun paese ha trovato l’app miracolosa o ne ha dimostrato l’efficacia. In queste condizioni, sarebbe meglio non utilizzarla”, afferma.
Al di là delle questioni di sicurezza, è l’urgenza con cui il dispositivo viene sviluppato che preoccupa l’esperta. “Non ci sarà abbastanza tempo per testarlo e convalidarlo in modo adeguato, ma gli si accorderà un’enorme fiducia. Il tempo della riflessione per creare qualcosa che funzioni bene sembra mancare”. Il rischio è di accettare in tempi di crisi dei sistemi di sorveglianza che in seguito potrebbero non essere più disinstallati, creando così un mondo sempre più orwelliano. “Aiutare gli epidemiologi a controllare la pandemia? Certo, ma non a qualsiasi prezzo”, conclude Solange Ghernaouti.
Le critiche dell’esperta di cybersicurezza sono condivise da altri scienziati. Anche in seno al Politecnico di Losanna si sono fatte sentire delle voci per denunciare i rischi dell’app di tracciamento.
L’anonimato è garantito
Da diverse settimane, i ricercatori del Politecnico di Losanna coinvolti nel progetto lavorano 15 ore al giorno per finalizzare l’app. “Tecnicamente siamo in dirittura d’arrivo. Siamo pronti a lanciarla quando le autorità decideranno di farlo”, spiega Emmanuel Barraud, portavoce dell’ateneo.
Pur dicendo di capire le preoccupazioni legate alla sicurezza, si vuole rassicurante: “L’app è progettata per garantire l’anonimato”. La chiave di tutto sta nel suo funzionamento decentralizzato: “Tutto avviene sui telefoni degli utenti, non su un server centrale, che potrebbe essere piratato”.
Anche se una persona malintenzionata riuscisse ad entrare nel sistema, riuscirebbe solo a ricavarne informazioni criptate, precisa il portavoce. “Otterrebbero una lista di codici che non possono essere riconducibili a nessuno. Questa è l’unica informazione che circola tra due telefoni”, spiega Barraud.
A dovere essere riviste sono forse le aspettative riposte nella tecnologia. Intervistata dalla rivista l’Illustré, Carmela Troncoso, responsabile dell’aspetto informatico del progetto, ammette che sono troppo elevate. “La tecnologia Bluetooth utilizzata non è perfetta e inevitabilmente ometterà qualcuno. Inoltre, non è perché si viene avvertiti che si è stati in contatto con una persona contagiata che è proprio questa persona che vi ha infettato”, rileva la ricercatrice. L’app – sostiene – non è la soluzione perfetta, ma semplicemente un complemento “al tracciamento manuale”.
Nel servizio del telegiornale le spiegazioni su come funziona l’app.
Gli svizzeri sostengono il tracciamento via smartphone
Il 60% degli svizzeri accetterebbe di installare l’app per tracciare il coronavirus, stando a quanto emerge da un sondaggio effettuato dall’istituto Sotomo per conto della Società svizzera di radiotelevisione SSR, di cui fa parte swissinfo.ch.
La proporzione di persone disposte a utilizzare questo sistema è leggermente più alta nelle regioni italofone (72%) e francofone (61%) del paese, più toccate dalla Covid-19 rispetto alla Svizzera tedesca (59%).
Gli autori del sondaggio sottolineano che non è certo che le persone favorevoli scaricheranno poi veramente l’app sul loro smartphone. “La buona volontà della popolazione dovrà essere sostenuta da una campagna d’informazione appropriata”, sottolineano.
Traduzione di Daniele Mariani
In conformità con gli standard di JTI
Altri sviluppi: SWI swissinfo.ch certificato dalla Journalism Trust Initiative
Se volete segnalare errori fattuali, inviateci un’e-mail all’indirizzo tvsvizzera@swissinfo.ch.