Parte la sfida sulla riforma delle pensioni
È ufficialmente partita oggi la campagna per il lancio del referendum contro la riforma delle pensioni pubbliche (Avs), appena passata alle Camere federali, che a detta dei promotori viene fatta sulle spalle delle lavoratrici, già penalizzate da rendite di vecchiaia più basse, e prelude a un attacco in grande stile allo Stato sociale.
Il previsto aumento dell’età pensionabile delle donne da 64 a 65 anni, è stato sottolineato a Berna dal comitato referendario formato da rappresentanti sindacali e dei partiti di sinistra, farà risparmiare 10 miliardi di franchi, con conseguente taglio delle rendite di circa 1’200 franchi l’anno a danno delle salariate che già oggi percepiscono, al momento della quiescenza professionale, prestazioni inferiori di un terzo rispetto ai colleghi maschi.
Sindacati sul piede di guerra
Nel 2019, ha sottolineato il consigliere nazionale socialista Pierre-Yves Maillard, presidente dell’Unione sindacale svizzera (USS), la metà di tutte coloro che sono andate in pensione hanno dovuto accontentarsi di meno di 1’770 franchi mensili, una cifra ritenuta troppo bassa che dovrebbe precludere ulteriori peggioramenti per questa categoria di dipendenti.
Per la vicepresidente di Travail-Suisse, la consigliera nazionale dei Verdi Léonore Porchet, l’Avs perde annualmente 825 milioni a causa delle discriminazioni salariali che colpiscono le donne mentre per il presidente dello stesso sindacato, Adrian Wütrich, l’aumento dell’età pensionabile delle donne è un primo passo verso un incremento generalizzato per tutti a 66 o 67 anni, una tendenza che va bloccata sul nascere.
Da parte loro i sostenitori della riforma Avs 21 giustificano l’innalzamento dell’età pensionabile delle donne con l’evoluzione demografica, in particolare per l’allungamento delle aspettative di vita e il calo della natalità: se oggi ci sono circa 3 persone che lavorano per ogni pensionato, entro il 2030 ce ne saranno solo 2,4.
Garantire il finanziamento dell’Avs fino al 2030
Alla base della revisione legislativa elaborata dal governo, approvata in dicembre dal parlamento, c’è l’intento di garantire il finanziamento del cosiddetto primo pilastro (la componente pubblica del trattamento pensionistico elvetico, cui si aggiunge la previdenza professionale obbligatoria privata), fino al 2030, mediante in particolare l’aumento di un anno dell’età pensionabile per le donne e l’incremento dell’IVA.
Il pensionamento a 65 delle lavoratrici dovrebbe far risparmiare 1,4 miliardi di franchi nel 2030 alle casse dell’Avs (l’aumento scatterà un anno dopo l’entrata in vigore della riforma e sarà progressivo, vale a dire tre mesi ogni anno).
Per rendere meno indigesta la proposta sono previste misure compensatorie per le donne che andranno in pensione nei nove anni successivi all’adozione della riforma, che si tradurranno in un supplemento della rendita, in funzione della retribuzione (160 franchi al mese per le donne con un reddito fino a 57’360 franchi, a 100 franchi fino a un reddito di 71’700 franchi e a 50 franchi con un reddito superiore a 71’700 franchi) e condizioni più favorevoli per il prepensionamento (dai 62 anni).
La riforma prevede anche la possibilità per tutti di anticipare o rinviare la totalità o una parte della rendita tra i 63 e i 70 anni, anche nella previdenza professionale.
Aumento dell’Iva
Il secondo elemento rilevante della riforma riguarda l’Iva che viene aumentata di 0,4 punti percentuali, a beneficio del Fondo di compensazione Avs che potrà così raggiungere un grado di copertura adeguato.
L’aspetto singolare di questo intricato iter legislativo è che verosimilmente i cittadini svizzeri saranno chiamati ad esprimersi due volte su questa materia. Il decreto federale sull’aumento dell’Iva comporta infatti una modifica costituzionale che sottostà a consultazione popolare obbligatoria.
Se il referendum riuscirà, il popolo dovrà esprimersi due volte su uno stesso tema e la riforma potrà entrare in vigore solo se verranno accettati entrambi gli oggetti.
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