Per pensionati svizzeri e frontalieri le cure sono a pagamento in Italia
Con la nuova tassa della salute l'iscrizione al sistema sanitario italiano non sarà di fatto più gratuita per le persone fiscalmente esentate dal vecchio accordo fiscale italosvizzero.
Mentre tiene banco la nuova controversa tassa sulla salute a carico di frontalieri e frontaliere, avanzata dalla legge di bilancio appena approvata dal Governo Meloni, per la categoria dei beneficiari/ie di pensioni svizzere nella Repubblica, il precedente trattamento di favore in ambito sanitario è ormai solo un ricordo.
Del resto anche la manodopera transfrontaliera, che veniva generalmente accomunata sotto questo profilo alla seconda, viene ora chiamata a contribuire alle prestazioni mediche erogate dalle Regioni.
La manovra finanziaria (Legge n. 213Collegamento esterno) varata in fretta e furia a fine dicembre introduce, all’articolo 1 commi 237-241, un nuovo tributo a carico dei “vecchi” frontalieri e frontaliere, vale a dire quelli assunti in Svizzera prima del 17 luglio, data in cui è entrato in vigore il nuovo regime fiscale italosvizzero.
Come ampiamente ricordato in questi mesi costoro continuano ad essere assoggettati al vecchio regime e ad essere tassati, quindi, unicamente dal fisco elvetico, attraverso un’imposizione alla fonte, in base al precedente accordo del 1974. Il 31,2% degli importi prelevati vengono poi riversati dai cantoni interessati – Ticino, Grigioni e Vallese, ai comuni italiani di frontiera, via Roma.
La quota di compartecipazione al Servizio sanitario nazionale (SSN) che da febbraio dovranno versare, viene stabilito dalle Regioni di residenza, con un’aliquota oscillante tra il 3% e il 6% (per una cifra minima di 30 e una massima di 200 euro al mese, che copre anche i familiari) sul reddito netto della e del contribuente.
Risorse che per espressa volontà del legislatore devono essere destinate al personale medico e infermieristico per arrestare, attraverso incentivi di ordine finanziario, il fenomeno della fuga dagli ospedali delle regioni di confine.
Il resto è storia di questi giorni: la comunità transfrontaliera è subito insorta, in particolare sulle reti sociali, e vengono ventilate mobilitazioni e proteste, che alcuni politici e politiche sembrano voler cavalcare.
Anche perché da molti e molte viene messa in dubbio la legittimità di una gabella a carico di contribuenti, che in base agli accordi internazionali devono essere tassati esclusivamente dalla Confederazione e che, è stato fatto notare, contribuiscono già con i cosiddetti ristorni (la quota di imposte pagate alla fonte dalle frontaliere e dai frontalieri, che poi Cantoni riversano all’Italia) a finanziare il fisco italiano.
Sistema e norme complesse
Finora, al pari dei salariati pendolari, i titolari di pensioni svizzere trasferitisi in Italia venivano spesso esentati dal contributo alle spese sanitarie su suolo italiano. Non che siano mancati negli scorsi anni i tentativi di chiamarli alla cassa, in virtù anche di un meccanismo complesso ed eterogeneo in cui convergono regole nazionali e internazionali, non sempre compatibili.
Su quali basi? Le norme europee, estese alla Confederazione con la firma degli accordi bilaterali (sottoscritti con l’UE nel 1999), in particolare quello sulla libera circolazione delle persone, prevedono in linea generale l’assoggettamento al sistema sanitario del Paese in cui si lavora (o, per pensionati e pensionate, in cui si è lavorato).
Situazione che aveva spinto Roma a chiamare alla cassa, in virtù di una circolare del Ministero della salute del 2015 (oggi peraltro di difficile reperibilità), questi due segmenti di contribuenti che volevano usufruire delle prestazioni mediche in Italia. Conseguentemente, frontalieri e titolari di pensione svizzere si sono visti negare da molte aziende sanitarie locali (ASL) il rinnovo della tessera sanitaria, con l’invito a procedere all’iscrizione volontaria (e soprattutto onerosa) al Sistema sanitario nazionale.
“Si trattava di una situazione discriminatoria che nasceva dalla discutibile interpretazione delle norme da parte di alcune ASL”, ci dice l’avvocato Markus Wiget, esperto di questioni bilaterali e consulente dell’Ambasciata svizzera a Roma.
Esenzione confermata da Roma. Dubbi interpretativi
Impostazione che è stata però corretta, viste le proteste suscitate – anche attraverso atti parlamentariCollegamento esterno – da una successiva circolare dell’8 marzo 2016, secondo la quale questi soggetti erano esonerati dal versamento di emolumenti alla sanità italiana per poter ricevere cure mediche.
Le lavoratrici e i lavoratori transfrontalieri, era stato sottolineato dal Ministero italiano della sanità, contribuiscono già, con i ristorni previsti dall’accordo sui frontalieri del 1974, al gettito fiscale, non diversamente dal resto della popolazione italiana (sottoposta alla fiscalità generale).
E questo valeva per analogia anche per i pensionati/e ai quali, dal profilo fiscale viene automaticamente prelevata dalle autorità del Belpaese una trattenuta del 5% sulle pensioni versate sui loro conti bancari dall’istituto previdenziale pubblico elvetico (AVS).
+ Berna chiamata in causa per la tassa sulla salute applicata ai frontalieri
In ogni caso la risposta del Ministero della salute non ha chiarito tutti i dubbi. Anche perché l’esenzione dal pagamento del contributo, a rigore di legge, doveva valere formalmente solo per manodopera frontaliera e titolari di pensioni che lavorano o hanno lavorato nei tre cantoni indicati dall’accordo fiscale del 1974 (Ticino, Grigioni e Vallese) e non per gli altri 23. In realtà, precisa l’esperto legale, tale indirizzo veniva applicato nella pratica a tutti i lavoratori e lavoratrici transfrontaliere e a tutti i pensionati/e.
Pensionati discriminati?
Poi però negli anni successivi sono state introdotte “strane restrizioni” a carico dei titolari di pensioni svizzere, continua l’avvocato Markus Wiget: “Veniva rilasciata la tessera sanitaria solo a titolo oneroso. Inoltre questa non valeva più negli altri stati dell’UE” (la tessera europea di assicurazione malattia, più nota con l’acronimo TEAM).
La manodopera frontaliera, che esercitava il diritto di opzione riconosciuto dall’accordo italosvizzero in materia, ha invece continuato a potersi iscrivere gratuitamente al Servizio sanitario nazionale a titolo gratuito. Una facoltà che, con le tassa sulla salute in vigore dal prossimo primo febbraio, viene a cadere anche per i frontalieri/e soggetti al vecchio regime normativo.
Per le persone con pensione svizzera, con alcune eccezioni, questo non valeva più da ormai diverso tempo, anche se il quadro, come anticipato, è complesso e non del tutto lineare.
Le regole vigenti per i titolari di rendita pensionistica svizzera
In concreto quale è il trattamento riservato a questa categoria? Tanto per cominciare occorre sottolineare che Berna, come regola generale, impone (anche) ai e alle titolari di una rendita pensionistica elvetica residenti all’estero l’obbligo di assicurarsi ad una cassa malati svizzera.
Nel concreto l’assicurazione elvetica con cui viene stipulato un contratto rilascia un documento (modulo S1) che deve essere inoltrato al comune italiano di residenza in cui viene attestata la copertura per le prestazioni sanitarie.
Questa soluzione consente alle persone beneficiarie di pensione svizzera di potersi far curare indistintamente nella Repubblica e nella Confederazione (e per le urgenze in qualsiasi Paese UE/AELS).
Diritto di opzione (teorico)
In alternativa, analogamente a quanto previsto per frontalieri/e, è stato successivamente concordato un diritto d’opzione che consente di iscriversi al sistema sanitario nazionale.
Ma ci sono alcune controindicazioni: l’iscrizione per pensionati stranieri e straniere avviene a titolo facoltativo e oneroso e il diritto di scelta, attraverso l’apposito modulo di esenzione dall’obbligo di assicurarsi in Svizzera, deve essere esercitato entro tre mesi dall’arrivo in Italia.
Dal profilo pratico si tratta quindi di un’opzione solo teorica: gli stranieri e le straniere (titolari di passaporto rossocrociato compresi) possono aderire al Sistema sanitario nazionale, come statuito nel 2007 dal Ministero della salute, solo dopo cinque anni dall’arrivo in Italia.
Una condizione che è del tutto incompatibile con il diritto di opzione da esercitare tassativamente entro tre mesi, secondo quanto deciso da Berna.
Possibilità di stipulare un’assicurazione privata
L’ipotesi residuale consiste nello stipulare un’assicurazione privata (svizzera o italiana) che offra un’analoga copertura sanitaria. Ma anche per questo scenario è richiesta dalla Confederazione entro tre mesi un’attestazione di conformità da parte delle competenti autorità sanitarie italiane locali. Aspetto questo che pone più di un interrogativo sulla sua applicabilità concreta.
Il discorso è leggermente diverso riguardo ai titolari di una pensione elvetica che hanno (anche) la cittadinanza italiana, che rappresentano un’eccezione a quanto indicato finora.
Essi ed esse possono infatti iscriversi immediatamente al loro arrivo, a titolo gratuito, al SSN, fatti salvi i normali oneri amministrativi da compiere per l’ottenimento dell’esenzione dalle autorità elvetiche.
Si tratta comunque di uno scenario in piena evoluzione e non sono escluse in futuro, anche prossimo, sorprese e colpi di scena, cui le persone interessate dovranno in un modo o nell’altro adeguarsi.
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