Alla fine di una giornata convulsa, con un gioco al cerino tra le due anime ormai sempre più lontane, si consuma la scissione. Il congresso si farà, ma i tre ormai ex sfidanti di Renzi, Roberto Speranza, Michele Emiliano e Enrico Rossi, non saranno della partita.
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tvsvizzera.it/fra con RSI
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“Abbiamo atteso invano delle risposte, è ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione”, strappa la minoranza. Ma il leader guarda già avanti perché “peggio della scissione ci sono solo i ricatti e il Pd non può stare fermo” negli scontri interni.
Che Renzi non abbia alcuna intenzione di rinviare la resa dei conti interna si capisce appena, nella sala dell’hotel Parco dei Principi, davanti ai 637 delegati, Matteo Orfini annuncia che il segretario ha presentato le dimissioni.
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Un atto formale che prelude al discorso, senza appigli per la minoranza, che farà l’ex premier: “Fuori ci prendono per matti, discutiamo ma poi rimettiamoci in cammino”, è l’appello di Renzi che sostiene di aver fatto di tutto per tenere unito il partito e di “soffrire” quando sente la parola scissione. Ma, chiarisce, “peggio della scissione c’è solo la parola ricatto, non si può bloccare un partito sulla base dei diktat della minoranza”. Né tanto meno il leader Pd dice di avere intenzione di cedere “il copyright della sinistra” ad altri, men che meno alla minoranza che ieri, al teatro Vittoria, cantava Bandiera Rossa. “Sinistra non è come chi dice ‘capotavola è dove siedo io'”, è la frecciata a Massimo D’Alema, grande assente dell’assemblea e ormai già lontano dal Pd.
E proprio per dimostrare che la sinistra, comunque andrà, resterà, secondo i renziani, nel Pd, sfilano sul palco i fedelissimi che vengono dalla storia del Pci: Teresa Bellanova, Piero Fassino, Maurizio Martina, Claudio De Vincenti. Da quella storia viene anche Walter Veltroni che parla da padre nobile del Pd e torna in assemblea solo per la drammaticità del momento: “Ai compagni dico che il Pd ha bisogno di voi”, dice il primo segretario dem che ricorda i danni di una sinistra che divisa “ha fatto male a sé stessa e al paese” e scongiura un ritorno a Ds-Margherita, “un ritorno al passato e non il futuro”.
Ma la minoranza non ascolta la mozione degli affetti. Manda sul palco Guglielmo Epifani in rappresentanza dei tre candidati a rilanciare la palla nel campo di Renzi: “Noi ci aspettavamo una proposta, il segretario ha tirato dritto, ora faremo delle scelte”.
Pier Luigi Bersani, provato nel volto, non parla dal palco ma lancia un ultimo avvertimento dalla tv. “Il segretario ha alzato un muro, vuole fare un congresso cotto e mangiato senza discussione ma aspettiamo la replica”, dice all’ora di pranzo. Ma la replica non arriva, chiarendo le intenzioni del segretario.
I bersaniani sono già con un piede fuori, come lasciano capire Nico Stumpo e Davide Zoggia. Anche Enrico Rossi ormai vede per la minoranza “un’altra strada”. Ma Michele Emiliano prova fino all’ultimo ad evitare la rottura, ammettendo che “qui si soffre tantissimo”. E salendo sul palco spera ancora in un gesto del leader. Alla fine, davanti all’ennesimo niet arrivato dai fedelissimi del leader, la minoranza si ricompatta e addossa al segretario dem la responsabilità della rottura: “È ormai chiaro che è Renzi ad aver scelto la strada della scissione assumendosi così una responsabilità gravissima”.
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