Macron, tra riforme e tendenze autoritarie
Un anno fa l'outsider Emmanuel Macron era eletto alla presidenza della Francia. A 12 mesi di distanza qual è il bilancio del più giovane inquilino dell'Eliseo?
Accompagnato dalle note dell’Inno alla Gioia di Beethoven, la sera del 7 maggio di un anno fa Emmanuel Macron faceva il suo ingresso trionfale sulla Piazza del Louvre. Il 66,1% degli elettori lo aveva appena preferito alla candidata del Front National Marine Le Pen.
“Il compito che ci aspetta è immenso – aveva sottolineato il neoeletto. Dovremo moralizzare la vita pubblica, difendere la nostra vitalità democratica, rafforzare la nostra economia, costruire nuove protezioni, dare un posto ad ognuno… Questo compito ci impone di continuare ad essere audaci”.
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Parole al vento? Non di certo per la volontà di portare avanti delle riforme. In un anno, il più giovane presidente francese e il suo governo le hanno moltiplicate: riscrittura del diritto del lavoro, riforma dell’accesso all’università, della fiscalità, dell’asilo e dell’immigrazione, progetto di trasformazione delle ferrovie…
Il problema è che la maggioranza dei francesi – l’84% stando a un sondaggio pubblicato alcuni giorni fa da alcuni quotidiani – ha la sensazione di non trarre benefici dalla politica attuata da Macron e dal primo ministro Edouard Philippe.
Sabato scorso, decine di migliaia di persone sono scese in piazza a Parigi e in altre città per protestare contro quella che viene considerata una politica troppo liberale.
Un (s)gradimento da relativizzare
E in un anno, l’indice di gradimento è sceso: l’azione del presidente viene giudicata positivamente da meno di un francese su due. Il tasso (pari al 45%, secondo un’inchiesta Ipsos) va però relativizzato: quello dei suoi due predecessori – Sarkozy e Hollande – aveva subito un calo ben più drastico, scendendo al di sotto del 30%.
Il reportage da Parigi della Radiotelevisione Svizzera:
Non è un caso che molti parlino quindi di ‘tenuta’ di Macron. Secondo l’analista di Ipsos Jérôme Fourquet, intervistato dalla rivista “La Croix”, ciò è dovuto da un lato “all’immagine personale del presidente della Repubblica”, che occupa “un posto centrale” nella vita politica francese e nella Quinta Repubblica.
“Sarkozy e Hollande avevano ciascuno a modo proprio agli occhi dei francesi operato una sorta di riduzione della funzione. Macron al contrario sembra averla ripristinata in parte. A livello interno, questo avviene per esempio attraverso discorsi molto solenni e gesti molto simbolici e all’estero il presidente incarna una dimensione di rappresentazione alla quale i francesi sono particolarmente sensibili”.
“Poi c’è il suo modo di esercitare il potere, il fatto di dire ‘faccio ciò che avevo detto che avrei fatto’. L’idea è che la politica attuata è in linea con le promesse”, aggiunge Jérôme Fourquet.
Tendenze autoritarie
A sollevare critiche e a destare preoccupazioni è però soprattutto un altro aspetto di Macron: l’accentramento del potere.
In parlamento l’opposizione è ridotta ai minimi termini e l’unica forza che sembra per il momento tenere testa al presidente francese e al suo governo è la ‘France Insoumise’ (sinistra radicale) di Jean-Luc Mélenchon.
Anche un tradizionale contro-potere come i sindacati sembra in perdita di velocità. O perlomeno, l’inquilino dell’Eliseo pare volerli aggirare. “Emmanuel Macron non si allea a nessun sindacato – afferma alla Radiotelevisione Svizzera Brice Couturier, autore del libro ‘Un presidente filosofo’ -. La sua scommessa è che, come per il Partito socialista e i Repubblicani, in forte perdita d’autorità, anche i sindacati siano ormai solo dei gusci vuoti”.
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