Mercato del lavoro in Ticino, la preferenza indigena funziona?
Prima i nostri, presunta invasione dei frontalieri, libera circolazione, crescita economica. Attorno a questi argomenti ruota l’approfondimento del settimanale d’informazione Falò che si concentra sul mercato del lavoro e l’economia ticinese.
Situazioni apparentemente contraddittorie che coesistono e sono difficilmente confutabili. Se la pressione dell’abbondante manodopera oltre confine, cresciuta con la grave crisi in Lombardia e Piemonte a partire dal 2008, ha creato distorsioni a livello salariale e occupazionale in Ticino, i dati altrettanto inconfutabili attestano una crescita evidente del PIL cantonale con l’integrazione parziale della Confederazione al mercato unico in virtù degli accordi bilaterali sottoscritti con Bruxelles.
Tradotto in concetti concreti, se è vero che a livello sociale si assiste ai fenomeni del dumping salariale e della sostituzione di manodopera indigena con quella frontaliera, è altresì vero che, a metà anni ‘ 90, prima dell’entrata in vigore dei Bilaterali Svizzera-UE, il tasso di disoccupazione in Ticino era attorno all’8%, a fronte del 3,9% con cui si è chiuso il 2016 (dati SECO). L’insieme dell’economia svizzera si è avvantaggiata dalla libera circolazione.
In questo contesto, i partiti di destra (UDC e Lega) hanno soffiato sul disagio e su timori della gente e sono riusciti a far passare iniziative popolari federali e cantonali che introducevano i contingenti di stranieri (9 febbraio 2014) e la preferenza della manodopera indigena (il 25 settembre scorso in Ticino). Proposte plebiscitate dalla popolazione ma che presentano problemi insormontabili a livello di applicazione, poiché conflittuali con il diritto superiore (federale ed europeo in quest’ultimo caso e internazionale nel primo).
La soluzione uscita dalle Camere federali è ben lungi da porre qualsivoglia tetto all’immigrazione e la commissione cantonale chiamata ad applicare “Prima i nostri” ha implicitamente ammesso l’impossibilità di agire efficacemente nel settore privato, dove verosimilmente tutto continuerà come prima. Un’impasse che pone seri interrogativi sull’uso corretto degli istituti della democrazia, su cui si sofferma l’analisi di Falò che ha raccolto anche le testimonianze significative sui cambiamenti in atto in Ticino.
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