Quando Zurigo si armò e scacciò gli italiani
Esattamente 125 anni fa, il 26 luglio 1896, ebbero luogo a Zurigo i cosiddetti "tumulti antiitaliani", che costrinsero centinaia, probabilmente migliaia di famiglie di operai italiani a scappare da una folla rivoltosa.
Il legame che c’è tra italiani e svizzeri è stretto e lungo come talvolta sanno essere i sentieri di montagna. E, proprio come i cammini che si tratteggiano nel mezzo della natura, questi rapporti sono stati talvolta difficili, eppure costanti. Lo dimostra la storia (ne abbiamo in parte parlato qui) e lo dimostra anche l’attualità, con temi, come il frontalierato, perennemente in voga.
Nel 1800, svizzeri e italiani pativano di problemi non poi così diversi tra loro: entrambi i Paesi vivevano infatti una forte emigrazione, in particolare oltre oceano. Verso la fine del secolo, una serie di circostanze fece però cambiare repentinamente le cose e la numerosa comunità italiana che si trovava nelle città della Confederazione e soprattutto a Zurigo, venne presa di mira dalla popolazione locale e dagli immigrati di altre nazioni, dando così vita 125 anni fa, nel luglio del 1896Collegamento esterno, ad una specie di caccia alle streghe.
Come nacquero i “tumulti antiitaliani”
Dopo la morte per accoltellamento di un arrotino alsaziano, per il cui omicidio si sospettava di un muratore italiano, il 26 luglio 1896, nel quartiere operaio di Aussersihl di Zurigo ci fu per diversi giorni una sorta di caccia all’uomo. L’”uomo” in questione non era però unicamente il presunto aggressore, ma l’intera comunità italiana, nei confronti della quale, il fatto di cronaca funse da scintilla per riversare la rabbia popolare. Una rabbia che si tramutò in violenza fisica, saccheggi e focolai dati alle fiamme, dovuta in buona parte all’insicurezza sociale figlia della modernizzazione: la concorrenza tra operai era infatti diventata sempre maggiore e il gioco al ribasso degli stipendi, perpetrato dai datori di lavoro, misero in difficoltà molti nuclei familiari. Vittime delle ritorsioni, nei giorni seguenti, migliaia di operai italiani fuggirono da Zurigo insieme ai propri cari.
I “focosi figli del Sud”
Il più importante giornale locale, la Neue Zürcher Zeitung (NZZ), in quel periodo scrisse: “Ad Aussersihl, si è gradualmente sviluppata una profonda amarezza contro i lavoratori italiani immigrati, muratori e lavoratori della terra. La ragione di questa agitazione non ingiustificata sono i numerosi tafferugli notturni in cui i focosi figli del Sud, che sanno come evitare le liti e gli scontri da sobri, fanno uso dei loro coltelli, e in cui sono stati commessi cinque omicidi in poco tempo, sempre per mano di italiani ubriachi”.
Altri sviluppi
La costruzione della galleria
Oltre a dover “tenere al sicuro” le loro donne e le loro figlie da questi “focosi figli del Sud”, come si leggeva appunto nelle colonne del foglio zurighese; da questi lavoratori, la Zurigo di allora – la sua economia e le sue imprese – traeva però anche tutto il ricavato possibile. Negli ultimi decenni del XIX secolo, decine di migliaia di immigrati erano arrivati attraverso le Alpi per costruire ferrovie (vedi sopra), fabbriche e intere città in quello che presto sarebbe diventato uno dei paesi più ricchi del mondo.
Il malcontento popolare e il capro espiatorio
Aussersihl divenne in breve tempo un comune di 50’000 persone, di queste, una su quattro era italiana. Quello che fino a pochi anni prima era solo un tranquillo villaggio agricolo aveva tuttavia ancora l’infrastruttura di un paesotto. Non c’era un sistema fognario, la luce elettrica non bastava per tutti e la diffusione capillare dell’acqua corrente era ancora un’utopia. Il tutto creava una forte insoddisfazione.
Oltre ai cambiamenti locali, la Svizzera stava anche vivendo uno sviluppo profondo, essendo passata, solo pochi anni prima, dall’essere un paese di emigrazione a un luogo di immigrazione. La quota di lavoratori che vi si recavano per cercare fortuna ha infatti superato la soglia di quelli che se ne andavano nel 1888: un fenomeno, questo, che rifletteva il boom economico e la modernizzazione in atto all’epoca. Ma ciò creava anche un forte malcontento tra le fasce più povere di confederati tra le quali stavano nascendo rivendicazioni sindacali e che identificarono negli immigrati italiani – i più numerosi all’epoca – il capro espiatorio perfetto.
In Svizzera, la popolazione straniera crebbe dal 5,7% (1870) all’11,6 (intorno al 1900) e infine al 14,7 per cento poco prima della Prima Guerra Mondiale. Tra il 1888 e il 1910, immigrarono oltre un quarto di milione di persone, principalmente tedeschi e italiani (maggiori dettagli sull’immigrazione elvetica nel XIX e nel XX secolo sono a disposizione sul Dizionario storico della SvizzeraCollegamento esterno).
Gli operai italiani vivevano in grandi case nelle quali ogni stanza era occupata anche da 4 o 5 persone e rappresentavano un vero affare per i proprietari immobiliari del posto. Oltretutto lavoravano duramente e spesso si accontentavano di paghe modeste: i locali li accusavano infatti di accettare salari troppo bassi, dai 24 ai 26 centesimi all’ora, mentre la remunerazione oraria normale era dai 28 ai 32 centesimi. Una storia che, oggi possiamo affermalo con certezza, si ripeterà per anni.
Gli autoctoni cominciarono però a tollerare sempre meno anche il fatto che bar e negozi di alimentari italiani spuntassero come funghi. Alle paure legate all’insicurezza economica, si aggiunse quindi una diffusa retorica incentrata sull’intolleranza verso lo straniero. Basti pensare che già allora, così come capita nell’era contemporanea, ci si recava alle urne per legiferare su temi legati all’estensione del diritto al lavoro: nel 1894 un’iniziativa popolare a tal propositoCollegamento esterno è stata rigettata con l’80,2% di no, con picchi di rifiuto che in alcuni cantoni hanno raggiunto fino al 93,9%.
I precedenti a Berna
Per quanto violenti ed estesi su tutto il quartiere, gli scontri di Aussersihl non furono tuttavia la prima importante ritorsione verso gli immigrati italiani in Svizzera. Solo tre anni prima, il 19 giugno del 1893, ci fu a Berna la rivolta del Käfigturm. A dare inizio a questo storico episodio furono una cinquantina di manovali bernesi rimasti senza lavoro. Partiti dal piazzale della stazione, il gruppo di disoccupati si diresse verso diversi cantieri periferici dove demolì ponteggi e picchiò gli operai edili italiani presenti accusandoli, così come avverrà poi a Zurigo, di percepire paghe troppo basse. Anche in questa occasione, si rese necessario l’intervento dell’esercito, oltre a quello della polizia: 14 i violenti che furono rinchiusi nella prigione del Käfigturm.
Il sacrificio
Negli anni, malgrado le tensioni talvolta riemergano, il sacrificio della manodopera italiana è stato riconosciuto in molteplici occasioni in Svizzera e soprattutto nei singoli cantoni che hanno beneficiato del duro lavoro dell’immigrazione. A goderne è stata in particolar modo la rete ferroviaria elvetica. Durante la costruzione della galleria ferroviaria del San Gottardo, inaugurata il 23 maggio del 1882, morirono circa 200 persone, intrappolate sotto le rocce o dai macchinari, asfissiate dalle esalazioni tossiche o uccise dalla dinamite. Alla loro vita e al loro lavoro, l’artista Vincenzo Vela dedicò un monumento che tenesse vivo il ricordo. Tragica è stata anche la realizzazione del tunnel del Lötschberg, dove persero la vita 25 minatori e, non da ultimo, quella della galleria di base di AlpTransit, terminata nel 2016, in cui le vittime furono 9.
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