La resistenza ucraina sta dando del filo da torcere all'esercito russo. Intanto Stati Uniti e Unione europea si preparano a introdurre nuove sanzioni.
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tvsvizzera.it/mrj
Si è concluso oggi il viaggio di due giorni di Ignazio Cassis in Polonia e Moldavia, incentrato sulla crisi ucraina. Il presidente elvetico ha annunciato che la Confederazione stanzierà 2 milioni di franchi per gli aiuti umanitari d’urgenza per far fronte all’accoglienza di profughi, e lo spostamento nella capitale moldava Chisinau di parte del personale dell’ambasciata svizzera in Ucraina, chiusa a causa dell’invasione russa.
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L’esercito di Mosca, intanto, sembra incontrare alcune difficoltà sul terreno: malgrado numerosi bombardamenti su diverse città negli ultimi giorni, non avrebbe conquistato terreno. Tra le località più colpite c’è Mariupol, città sul mare d’Azov strategicamente posizionata tra la Crimea e i territori separatisti del Donbass. Nonostante i continui attacchi, però, le forze armate di Putin non sono ancora riuscite a conquistarla.
La situazione umanitaria a Mariupol è drammatica e migliaia di persone hanno lasciato la città grazie ai corridoi umanitari concordati dalle due parti per rifugiarsi a Zaporija. Secondo l’ONG Human Rights Watch, sarebbero però ancora 200’000 gli abitanti intrappolati nella località portuale.
La resistenza ucraina si fa sempre più feroce e secondo il portavoce del Pentagono, John Kirby, l’esercito russo avrebbe già perso 7’000 soldati.
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Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky – che oggi si è rivolto anche al Parlamento italiano – si è intanto detto ancora una volta pronto a parlare direttamente con Vladimir Putin per fermare la guerra. Da parte dell’Ucraina, ha fatto sapere, c’è la volontà di discutere del futuro della Crimea, annessa dalla Russia nel 2014, e del Donbass. Per farlo, però, servono garanzie di sicurezza, ha sottolineato, aggiungendo poi che dovrà essere la popolazione, tramite un referendum, a esprimersi sull’eventuale compromesso raggiunto. Il Cremlino, da parte sua, ha fatto sapere che per giungere a un accordo servono passi in avanti più sostanziali.
Nuove sanzioni contro la Russia
Stati Uniti e Unione europea si sono dette pronte ad adottare nuove sanzioni coordinate contro Mosca. Anche in Svizzera che chi chiede un maggiore giro di vite, soprattutto per un settore strategico come la compravendita di materie prime, che in Svizzera vale miliardi. Il problema, secondo l’ONG svizzera Public Eye, è che oggi molti oligarchi lasciano le loro aziende nel tentativo di eludere le sanzioni a loro dirette.
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Come per esempio Gennady Timchenko, uno degli uomini più vicini al presidente Putin e anche uno dei più ricchi di Russia, che oggi si è dimesso dal consiglio di amministrazione di Novatek, colosso del gas russo. Timchenko che in Svizzera ha fondato la Gunvor, altro gigante delle materie prime, cerca così di salvare il salvabile, e come lui tanti altri oligarchi colpiti da sanzioni stanno lasciando le loro compagnie. Queste possono così continuare a operare.
“Sappiamo che oggi quasi il 40% delle entrate russe proviene dal petrolio e dal gas. Questo è il punto nevralgico del finanziamento della guerra. E sappiamo che l’80% del petrolio russo viene negoziato qui in Svizzera. Dobbiamo fermare dunque queste società che alimentano il tesoro per la guerra di Putin. Per questo ci vogliono altre misure”, ha spiegato ai microfoni della RSI Geraldine Viret, di Public Eye.
In Svizzera c’è anche la fortuna di Alisher Usmanov, altro oligarca che ha fatto fortuna con le materie prime. Nelle banche elvetiche gli sono stati sequestrati oltre 2 miliardi di dollari. Stando alle rivelazioni del Consorzio internazionale di giornalismo, anche Alexei Mordashov, proprietario della Severstal con sede a Manno, ha intestato alla sua compagna una società alla Isole Vergini che possiede 1,4 miliardi di dollari del suo patrimonio.
“Ci sono stime che parlano di 150-200 miliardi di averi russi nelle banche Svizzere, ma non ci sono cifre del totale bloccato dalle sanzioni nella Confederazione”, prosegue Viret. Molti superricchi hanno però sentito il vento cambiare e sono usciti dalle società per salvarle oppure hanno intestato i propri averi a membri della famiglia. “Hanno approfittato dei giorni in cui la Svizzera ha atteso prima di decidere di applicare le misure introdotte da Bruxelles”.
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