L’ambasciatore cinese fa la voce grossa con Berna
Venerdì scorso il Governo svizzero ha presentato gli obiettivi e le misure della politica svizzera nei confronti della Cina per i prossimi tre anni, criticandola lievemente per le sue tendenze autoritarie. Ciò che non è piaciuto per nulla a Pechino.
Se la Svizzera pensava di essere risparmiata dai toni piuttosto fragorosi con cui la diplomazia cinese negli ultimi tempi si confronta con alcuni Paesi occidentali, deve ormai disilludersi.
Fatto assai raro nel mondo a volte ovattato e discreto della diplomazia, l’ambasciatore cinese in Svizzera ha infatti convocato lunedì alcuni rappresentati dei media elvetici per esprimere il grande disappunto di Pechino per quanto scritto venerdì dal Consiglio federale nel suo rapporto intitolato “Strategia Cina 2021-2024”.
Nel documento si può leggere in particolare che nel Paese asiatico “negli ultimi anni sono aumentate le tendenze autoritarie così come la repressione del dissenso e la persecuzione delle minoranze”. Una critica quasi dovuta nei confronti dell’opinione pubblica elvetica, che molto probabilmente non avrebbe per nulla apprezzato un rapporto all’acqua di rose in cui si stendeva il tappeto rosso a Pechino.
“Accuse infondate”
La critica non è però sfuggita al regime cinese, che non ha per nulla apprezzato quella che per bocca del suo ambasciatore ha definito un’interferenza negli affari interni della Cina.
“Purtroppo la Svizzera lancia accuse infondate e attacchi al sistema politico, alla politica delle minoranze e alla situazione dei diritti umani in Cina”, ha dichiarato Wang Shihting al programma Rendez-Vous am Mittag della radio svizzero tedesca SRF.
In un’intervista al Tages-AnzeigerCollegamento esterno, l’ambasciatore ha poi difeso la politica condotta dalla Cina nello Xingjang nei confronti degli uiguri, volta unicamente alla repressione del terrorismo e che non è diversa dalle pratiche anti-estremismo di Stati Uniti, Gran Bretagna o Francia. Inoltre, nella regione “non esistono campi di internamento, rieducazione o gulag”, ha sostenuto.
No comment di Berna
Il Dipartimento degli affari esteri non ha voluto commentare le dichiarazioni dell’ambasciatore, limitandosi ad indicare di averne preso atto.
Nella sua strategia, Berna intende attuare nei confronti di Pechino una politica indipendente, per evitare di entrare nel gioco della polarizzazione sino-americana, con un dialogo costruttivo e critico, anche sui diritti umani.
Di fatto, però, il dialogo è sospeso da due anni, da quando gli Stati Uniti hanno pubblicato una presa di posizione sulla politica cinese nei confronti della minoranza musulmana degli uiguri. Ventidue Stati hanno firmato il documento, compresa la Svizzera. La Cina ha successivamente cancellato il dialogo sui diritti umani previsto per l’agosto del 2019. E anche nel 2020 non ci sono stati ulteriori colloqui.
Sanzioni UE
Per la prima volta da oltre trent’anni, lunedì l’UE ha imposto sanzioni a Pechino per le violazioni dei diritti umani: i ministri degli esteri dei 27 stati membri hanno deciso di adottare misure punitive contro i responsabili dell’oppressione degli uiguri. L’ultima volta che Bruxelles ha imposto sanzioni contro la Cina è stato dopo il massacro di piazza Tienanmen a Pechino nel 1989.
La Segreteria di Stato dell’economia (SECO), interpellata dall’agenzia Keystone-ATS, ha precisato che un’eventuale adozione di queste sanzioni europee da parte della Svizzera è attualmente oggetto di discussione interna al Consiglio federale. Al momento non è ancora stata presa una decisione in merito. La Confederazione non ha alcun obbligo legale o politico di adottare le sanzioni dell’UE. La valutazione viene fatta caso per caso sulla base di vari criteri di politica estera, economica e di diritto.
tvsvizzera.it/mar/ats con RSI (TG del 22.3.2021)
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